L’America “politically correct”, in queste settimane, sta sviluppando la sua “culture war” da una trincea resa più impegnativa dalla crisi ucraina. Non è facile per gli ideologi della fine della storia e della non discriminazione come standard globale egemone appoggiare la “war” (senza aggettivi) che la Casa Bianca di Joe Biden ha scatenato contro Russia e Cina in nome dei valori assoluti della democrazia occidentale.
Fondamentali fra questi – anzi: i primi tutelati dalla Costituzione statunitense – sono la libertà di parola e di professione religiosa. Per questo il caso scoppiato a metà marzo all’Università di Yale – storica roccaforte di “mainstream politically correct” e poteri politico-finanziari “dem”- continua a essere particolarmente disturbante nella narrazione mediatica delle grandi testate “liberal”.
I fatti. La Yale Federalist Society – uno dei club di docenti e studenti della prestigiosa università della Ivy League – ha messo in agenda una “libera discussione” con due legali: Kristen Waggoner e Monica Miller. Entrambe sono legate a organizzazioni attiviste: Waggoner alla cristiano-conservatrice Alliance Defending Freedom, che offre fra l’altro assistenza legale sul terreno della libertà religiosa; Miller alla progressista American Humanist Association, una voce dichiaratamente “atea” che promuove principalmente i valori dell’eguaglianza.
All’inizio di marzo, Waggoner e Miller si sono presentate nel New Jersey per dibattere una recente sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti (la Yale School of Law è, con quella di Harvard, una fucina storica degli alti magistrati della Scotus: quattro justice dei nove oggi in carica a Washington sono “yalian”, compreso uno nominato da Donald Trump). Sul tappeto è stato posto il caso “Uzuegbunam v. Preczewski”, deciso nel gennaio 2021. A schiacciante maggioranza (8-1), i justice di Washington hanno dato ragione a uno studente del Georgia Gwinett College, che aveva subito dalle autorità scolastiche divieti ripetuti di condividere pubblicamente nel campus la sua esperienza di conversione al cristianesimo. Una sua azione legale – sostenuta dalla Adf sulla base del Primo emendamento della Costituzione a tutela della libertà di espressione – era stata respinta sia in primo che in secondo grado dalla magistratura ordinaria. Ha invece avuto successo l’istanza finale alla Corte Suprema, che ha riconosciuto a Chike Uzuegbunam il diritto ai danni per la lesione dei suoi diritti di parola e di manifestazione di fede religiosa.
Waggoner e Miller, negli intenti loro e degli organizzatori, avrebbero dovuto approfondire i risvolti di un’odierna sentenza “full bipartisan” della Corte su questo sfondo tematico: i valori delle libertà fondamentali affermate e garantite dalla Costituzione americana si rivelano più forti delle differenze ideologiche, degli scontri politici, delle interpretazioni giuridiche evolutive che via via segnano la società Usa. L’evento ha avuto invece uno sviluppo inatteso.
La maggioranza degli studenti presenti ha iniziato a contestare Waggoner: per via delle posizioni non perfettamente allineate al “politically correct” assunte della Adf (espressione di chiese evangeliche) sul fronte Lgbtq+. La relatrice, che ha concluso a fatica il suo intervento, è stata oggetto fra l’altro di insulti sessisti.
La moderatrice dell’incontro, la giurista di Yale Keith Stith, ha denunciato l’accaduto alle autorità accademiche per violazione del “free speech”, costitutivo della cultura accademica. Il Dean della School of Law Heather Gerken (lei pure “rosa”) ha definito la contestazione “inaccettabile”, ma ha tuttavia negato che abbia oltrepassato i confini del rispetto della libertà di parola. Il caso, però, non è chiuso.
A Yale è giunta nei giorni scorsi una lettera siglata da due 11 congressmen repubblicani (fra cui il rampante senatore Ted Cruz), cinque governatori e 26 general attorneys che sollecitano l’università a prendere provvedimenti disciplinari contro un episodio ritenuto sintomatico di crescente intolleranza politico-culturale. E il Wall Street Journal ha dato spazio al caso, chiedendosi da ultimo a quali dottrine e prassi civili vengano oggi educati gli studenti – futuri giuristi, magistrati e avvocati – di un ateneo che si ritiene da sempre guardiano della democrazia americana. È il mondo che – fra “terze guerre mondiali” e “seconde guerre civili americane” – conduce da anni con ogni mezzo e senza esclusione di colpi un’offensiva strategica contro Trump: “fino alla vittoria finale”, prima al voto midterm del novembre prossimo e poi all’appuntamento cruciale delle presidenziali 2024.
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