Telegraph Road: Abbiamo di fronte uno dei pezzi più articolati della produzione dei Dire Straits, la band capitanata da Mark Knopfler, inglese nato a Glasgow con il pallino dell’America.

Dopo alcuni anni di grandi successi, la band (e in particolare il suo leader, perfino in disaccordo con la casa discografica) decise di dedicarsi a un progetto ambizioso e in controtendenza, l’album “Love Over Gold”, costituito da lunghe suite perlopiù strumentali. Evidentemente il breve minutaggio di una canzone risultava essere troppo angusto per il chitarrista, che aveva bisogno di spazi più estesi per esprimere la sua vena compositiva ed esecutiva.

È il 1982, e il live “Alchemy” di due anni dopo raccoglie anche la testimonianza di grandi concerti dal vivo, in cui accanto ai grandi successi appaiono anche i nuovi, sperimentali brani, in particolare Private Investigations e appunto Telegraph road, da molti considerata la vetta musicale di Knopfler con i Dire Straits.

L’introduzione è affidata a una chitarra Dobro accompagnata dalle tastiere, poi la canzone si snoda fra strofe e brevi incisi strumentali. Lo stile è quello conosciuto, le armonie sono grossomodo quelle dei grandi successi, in particolare sono molto presenti echi di Tunnel of Love e Sultans of Swing.

Il testo nasce da un viaggio sulla Route 24, detta anche Telegraph Road, una delle grandi strade che solcano l’America, e parla del sorgere di una nuova città e poi delle possibilità che questa fondazione si porta dietro.

Ma nella seconda parte Knopfler vuole parlare anche dell’importanza di avere un lavoro e della difesa di chi non ce l’ha.

Testo a parte, musicalmente la parte del leone la fa come al solito la chitarra di Mark, di cui annotiamo alcune caratteristiche: la mano destra non usa il plettro, ma la tecnica chiamata fingerstyle. Le corde vengono quindi suonate da pollice, indice, medio e anulare della destra, particolare non marginale, perché questo tocco va sostanzialmente a influenzare anche il fraseggio della sinistra.

Ma il vero climax del pezzo è il lungo assolo conclusivo, in cui si apprezza una nutrita rappresentanza del vocabolario chitarristico di Knopfler in cui si intrecciano tutti i suoi amori: sicuramente la pentatonica blues, che lascia talvolta il posto a dei riff provenienti dal country, altro grande amore di Mark.
Qua e là le tipiche scariche veloci, anch’esse perlopiù pentatoniche, e ogni tanto qualche spunto melodico a impreziosire il tutto. Insomma un chitarrista da riscoprire, anche nella sua produzione solista dopo la fine dell’esperienza dei Dire Straits.

E anche stavolta: pump up the volume!