GUITAR HERO – GARY MOORE – Forse non è uno dei chitarristi di cui tutti si ricordano. Eppure l’irlandese Gary Moore ha scritto delle pagine piuttosto importanti per la sei corde elettrica.

Dopo la militanza nel gruppo heavy metal dei Thin Lizzy ha avviato una lunga carriera solistica alternandosi fra blues e hard rock. Fino a ieri, quando è stato trovato morto, a 58 anni, nella camera di un albergo spagnolo.
Non era mai stato indietro di fronte agli eccessi di alcol, e forse in qualche modo a questo è connessa la sua morte, lo scopriranno i medici. Noi lo ricordiamo attraverso il suo stile.

È dell’alba degli anni Novanta un disco che lo riporta al suo primo amore, il blues. In copertina, un ipotetico Gary Moore ragazzino imbraccia una chitarra, circondato da poster e dischi dei suoi eroi. Sul retro, lui da grande è nella stessa posizione, come a testimoniare che i grandi maestri non passano, e che prima o poi si torna a casa.

Il disco, pieno di ospiti illustri, si snoda attraverso pezzi originali e cover; una serie di brani che in senso lato appartengono al mondo del blues, appunto, strizzando l’occhio però a vari stili.
Si comincia con un intenso brano d’apertura, Movin’ on, dove possiamo apprezzare insieme alla vocalità corposa e alla ritmica possente, l’uso del bottleneck,  il cilindro di vetro che permette di scivolare su e giù per il manico creando l’effetto slide

Era il 1990, "Still got the blues" era appena uscito, e Gary Moore si esibiva al Festival di Montreux. Un altro dei brani del disco era Oh Pretty Woman, di cui vedremo il video originale ed ascolteremo pertanto la versione in studio, che presenta come ospite Albert King.

Qui lo stile di Gary Moore appare in maniera più scintillante, in tutto il suo vocabolario e la sua velocità, giustapposta per contrasto alle poche note pronunciate dal grande maestro nero.
La matrice è sempre il blues, ma sia nei fill che negli assoli, ci si presenta un chitarrista dalle grandi potenzialità e dalla grande conoscenza dello strumento, oltre che di grande comunicativa.
 

Ma l’urlo del blues si colora ancora di altre sfumature in quest’altro brano, l’ultimo con cui onoriamo il vecchio Gary. È proprio il brano che dava il titolo all’album, "Still got the Blues";  uno slow, una ballata dove la chitarra grida di dolore ed esprime sentimento, come solo i grandi musicisti sono capaci di fare. Non manca nell’assolo finale un certo sfoggio di maestria, ma ci resterà in mente soprattutto l’urlo delle note tirate, del bending che sottolinea l’urgenza di comunicare e pone anche Gary Moore nell’olimpo dei grandi.

Cry, guitar, cry… rest in peace, good ole Gary!