Forse detto così, nome e cognome, questo artista non farà venire in mente granché a moltissimi fra i lettori. Magari dicendo Tuck & Patti si accenderà qualche lucina in più. Tuck Andress appunto, e Patti Catchart, insieme sul palcoscenico da 33 anni e come marito e moglie da 30, sono una delle coppie più affiatate e longeve del panorama musicale mondiale. Nera, proveniente dal Gospel lei, bianco, proveniente dal jazz lui, trovano in 10 anni di esibizioni, dal 1978 al 1988 un’intesa perfetta, non esibendosi pressoché mai in altra formazione che non sia quella del duo chitarra e voce, ed approdando ad un contratto discografico nel 1988. Da questo primo lavoro, intitolato Tears of Joy ascoltiamo la loro cover di Time after Time, successo pop e grande canzone di Cindy Lauper. 

Ci siamo fatti un’idea dello stile e delle radici di questo grandissimo chitarrista. Di fatto non ci troviamo mai di fronte a un assolo puro (chi accompagnerebbe?), ma a uno stile che inframmezza linee di basso, suggestioni percussive, accordi e linee melodiche, dando la prevalenza ora a una componente, ora all’altra. 

Nel video successivo Tuck stesso illustra le caratteristiche di quello che stava scoprendo, dal punto di vista tecnico e di espressività. Il video è del 1993 e Tuck sa di essere parte di una evoluzione della chitarra, acustica ed elettrica, che proprio in quegli anni stava avendo luogo, grazie anche ad altri grandi interpreti, come Michael Hedges e Stanley Jordan, che lui stesso cita professandosi loro fan. Nella parte centrale del video interessante la sovrapposizione delle varie parti che porta al risultato finale:

 

 

Ma un conto è spiegare il proprio stile e un conto vederlo in azione. Non c’è niente da spiegare, occorre ascoltare con tutta l’attenzione, per cercare di cogliere più sfumature possibili di una tavolozza davvero variegata. 

La conoscenza dell’armonia jazz è praticamente perfetta, permettendo soluzioni sempre nuove, sostituzioni di bassi e accordi, in un quadro in continua evoluzione; gli inserti melodici denotano una padronanza di fraseggio e un grande gusto; il rispetto per la voce solista che sta accompagnando (dote piuttosto rara nei virtuosi) permette al canto di dispiegarsi in tutte le sue potenzialità; la maestria tecnica lascia trasparire qua e là qualche imperfezione che rende più umana una performance altrimenti da extraterrestre; la perfetta conoscenza del manico permette un viaggio ininterrotto e affascinante su e giù per la tastiera. Godiamoci allora uno fra i tanti jazz standard nel repertorio del duo, il jazz waltz Better than anything. Altro che “meglio che niente”, qui c’è davvero tantissimo!

Buon ascolto.