Non so a quanti questo nome dirà qualcosa, così a prima vista. Eppure Steve Hackett è un chitarrista che ha all’attivo la partecipazione agli album della stagione d’oro dei Genesis, oltre a più di venti album solisti. Interessi mulitformi, dalla musica classica, al rock, ad un progressive che man mano, negli anni si è sempre più avvicinato al pop. E una vita perennemente in giro, tanto che lo rivedremo anche in Italia ad Aprile, a promuovere il suo ultimo lavoro, Beyond the Shrouded Horizon.

Una figura di rilievo, quindi, anche se non molto conosciuta alle nostre latitudini, se non nel periodo d’oro, appunto. Ed allora è necessario parlare almeno brevemente, dei Genesis, un’idea di Tony Banks (tastiere) Mike Rutherford (basso e chitarre) e Peter Gabriel che essendo compagni di scuola, decidono di formare una band. Nel nucleo originale c’era anche Anthony Phillips, successivamente allontanatosi dal gruppo; diversi batteristi si alternarono poi fino all’arrivo di Phil Collins, nel 1970 (la band si era formata alla Charterhouse School nel 1967). Dopo un primo album decisamente tendente al pop, la band sposta il suo raggio d’azione verso il progressive rock, spingendosi in coraggiose sperimentazioni che includevano l’uscita dallo stereotipo della canzone breve per abbracciare forme di più ampio respiro e l’uso di strumenti dal suono evocativo. Nell’album Foxtrot, di qualche anno dopo, i Genesis arrivarono a comporre una suite che occupava quasi esclusivamente l’intera facciata di un vinile (26 minuti); il rimanente minuto e mezzo era occupato da un breve, bellissimo brano acustico proprio di Steve Hackett, Horizons. Un vero classico per Hackett: eccolo riemergere in un concerto di un paio d’anni fa ad Helsinki.

Ma torniamo agli anni d’oro con i Genesis; il gruppo scriveva e suonava musica piuttosto difficile, anche se molto coinvolgente. Steve Hackett divenne famoso, oltre che per il suo stile e il suo contributo alla realizzazione dei pezzi, anche perchè era l’unico chitarrista rock a suonare seduto. Probabilmente la difficoltà tecnica dei pezzi e una sua abitudine a quella postura lo rendevano più sicuro nell’esecuzione. Fra l’altro, il suo assolo in Dancing with the Moonlit Knight, grandioso brano d’apertura dell’album Selling England by the Pound, presenta forse per la prima volta nella storia (difficile dirlo con esattezza) l’uso del tapping, la produzione di note usando la mano destra anche sulla tastiera dello strumento. Godiamoci l’insolita struttura di questa canzone, insieme alla bellezza della melodia e all’abilità dei musicisti, qui nella line-up classica che produsse gli album più rappresentativi: Gabriel-Banks-Rutherford-Hackett-Collins. E godiamoci anche la versatilità di Peter Gabriel, che univa alle sue grandi capacità vocali una spiccata teatralità mediante la mimica facciale e l’uso di costumi. Nella canzone in oggetto si è vestito da Britannia, l’antico nome dell’Inghilterra.

Ma passiamo all’attività solista. Il brano seguente è la canzone d’apertura dell’album Please don’t touch, in cui comparivano ospiti di rilievo, fra cui il grandissimo cantante Steve Walsh dei Kansas,che cantava magistralmente proprio questo brano, Narnia. Ad un certo punto noterete, anche questo in anticipo sui tempi, l’uso che Hackett fa dell’e-bow, un risuonatore che usato insieme al ditale di metallo o bottleneck e ad un suono distorto, prolunga il suono della chitarra elettrica, potenzialmente all’infinito. Un marchio di fabbrica di Steve Hackett, nei Genesis e da solo. Il brano è del 1976, la ripresa è da uno show televisivo nel 1979.

 

 

Un ultimo omaggio al grande chitarrista con un pezzo contenuto nel suo album di debutto del 1975Voyage of the Acolyte, in cui collaborarono comunque anche Phil Collins e Mike Rutherford. Come nel brano precedente, anche in questo si sentono gli influssi della musica folk inglese e irlandese sulle composizioni di Steve Hackett. Non solo per l’uso di un whistle, il flautino tipico dell’irish folk, ma per i forti riferimenti a melodie provenienti da quel mondo, pur mescolate a complesse andature ritmiche e metri irregolari, tipici del progressive. Apprezziamo lo stile del grande chitarrista inglese e salutiamolo con Ace of Wands, l’asso di bastoni.