Sarà stato il 1978. Forse ‘79. La maggior parte dei gruppi che suonavano nelle cantine suonavano rock. Da una sala prove ricavata sotto la casa parrocchiale provengono delle note lunghe di un sintetizzatore. Sta facendo buio, le ombre della sera si stagliano, un po’ come nei primi fotogrammi del video che state per vedere. Gli accordi lunghi di archi analogici (per forza, il digitale non esisteva ancora, almeno per noi) facevano l’effetto di musica che proveniva da un altro mondo. In quei tardi anni Settanta non si era ancora spento il fascino per un mondo futuribile, il 2000 sembrava (forse era) lontano e il nostro presente cinematografico era popolato di incontri ravvicinati di vario tipo.
Il mio incontro ravvicinato era stato invece con una musica di cui dovevo assolutamente scoprire la provenienza. Avrei voluto avere Google e Shazam, e invece ho dovuto aspettare che qualcuno uscisse dalla saletta per chiedergli che brano stavano suonando (efficacia insuperabile dei rapporti personali). Erano i Pink Floyd e in particolare Shine on You Crazy Diamond, struggente ballata scritta e pubblicata cinque anni prima e dedicata al vecchio amico e co-fondatore della band, Syd Barrett.
Giocoforza, in breve ho dovuto procurarmi la canzone. Il primo ascolto, in cuffia, è stata come una rivelazione: suoni incredibilmente avvolgenti, fermi, statici, ma affascinanti. Per due minuti sostanzialmente non avviene niente. Un lungo, incredibile accordo di Sol minore. Poi sulle tastiere entra la chitarra elettrica (allora non lo sapevo, una Fender Stratocaster) e si muove su un fraseggio vagamente blues, ma il suono è pulito, effettato; il bending, la maniera di tirare le corde tipica del blues, misurato. E a un certo punto l’armonia si smuove, finalmente, come un cubo di due tonnellate che ruota da una faccia all’altra. Stiamo arrivando ai 4 minuti: normalmente a questo punto una canzone potrebbe anche essere finita: qui non è ancora cominciata.
Poi “quel” suono. Quella sequenza di quattro note (musicisti: per quattro minuti siamo stati in un ambito di Sol minore – Do minore e Re minore. Dal nulla, la frase: SI bemolle-Fa-Sol-Mi naturale – non bemolle come fino a quel momento). Potenza dell’idea musicale: quattro note, il suono giusto, e sembra che il mondo si sia ribaltato sottosopra.
Ma non si può andare avanti a parlare senza ascoltare. Cominciate a gustarvi questa versione live del 1990.
Non voglio aggiungere molto di più. Ma stiamo parlando di un Guitar Hero, oppure no? Senz’altro siamo di fronte a un grande dello strumento, non particolarmente veloce, non particolarmente tecnico, forse particolarmente baciato dalla fortuna (alcuni pensano questo dei Pink Floyd, altri, molti per la verità, manifestano un culto che rasenta l’idolatria).
In ogni caso, siamo davanti a un grande musicista, che ha scritto pagine memorabili nella storia del rock. Un musicista David Gilmour, che ha saputo trovare una sua strada, legata a un uso originale delle sei corde, con pagine consistenti anche all’acustica e non solo all’elettrica, e che ha dato alla musica rock un tocco personalissimo e imitato da pochi.
Tornando a Shine on you, l’assolo mette in mostra un fraseggio lineare e non affrettato, una bella pronuncia e una buona conoscenza del vocabolario blues. Se avete tempo, non mancate di ascoltare (magari in cuffia e chiudendo gli occhi) anche la versione originale di questa canzone-rivelazione.