Dopo una lunga sosta – riempita però da un buon numero di recensioni – riprendiamo in mano la rubrica dedicata agli eroi della chitarra, prendendo al balzo la palla delle 90 candeline accese sulla torta di Chuck Berry, come qualcuno ha detto, l’artista che forse ha espresso meglio lo spirito del Rock’N’Roll.
Sia vero o no, lui e la sua chitarra ne sono uno degli emblemi universali. Ebbe una giovinezza turbolenta ed alcuni guai con la giustizia – problemi che non lo abbandoneranno mai, nemmeno più avanti nella sua vita – in cui però già approfondisce la conoscenza della chitarra blues, grazie alla vicinanza con T-Bone Walker nella natia St. Louis. Accompagnamenti e riff tipici del blues diventano il suo pane quotidiano, ma la vera svolta avviene quando Berry si sposta a Chicago, dove incontra Muddy Waters, che gli suggerisce di proporsi alla Chess Records. È il 1955 e l’uscita di Maybellene, cover rock’n’roll di un successo country lo scaglia immediatamente alla vetta delle classifiche di vendita.
In realtà siamo agli albori del rock’n’roll, technically speaking forse Maybellene non può essere nemmeno propriamente definita un vero e proprio rock’n’roll. È il mese di maggio del 1955, ricordiamolo, e That’s Alright Mama di Elvis è uscita l’anno prima, così come Rock Around The Clock, che però non è ancora esplosa, perché il film che la farà circuitare in tutto il mondo – Blackboard Jungle, tradotto dai geni italiani Il seme della violenza – è uscito solo a marzo dello stesso anno 1955. Eppure il brano ha una spinta tutta nuova che lo rende irresistibile. Berry, che pure non è più un teenager, anzi è vicino ai trenta, ha però una carica esplosiva rispetto all’ingessata band retrostante. Anticipa fraseggi irruenti e sporchi e movenze che apparterranno poi, riveduti e corretti, a stuoli di chitarristi a venire. Fra questi il caratteristico duck walk, e diversi altri numeri che hanno contribuito a spettacolarizzare le sue esibizioni.
L’anno della definitiva consacrazione, pur annoverando alcuni altri successi, è il 1958, in corrispondenza dell’uscita di Johnny B. Goode. Ascoltiamone prima la versione originale, senza essere distratti da elementi visivi e di movimento.
Innanzitutto, anche senza vedere la contrapposizione ed il divario di età fra Chuck ed il resto della band, a fare un minimo attenzione si percepiscono due forze differenti che agiscono insieme, come una strana differenza di potenziale. Il contrabbasso e la batteria accompagnano ancora alla maniera delle orchestre di swing, basso in quattro e piatto d’accompagnamento (il cosiddetto ride cymbal) che accompagna con il classico swing saltellato. Tuttavia la chitarra ritmica ed il fraseggio della solista sono assolutamente straight, dritti, gli ottavi sono tutti uguali e non swingati, in una sorta di passaggio di testimone tra la prassi antica ed il rock’n’roll, la nuova, irresistibile musica da ballo. Eccone una versione live dell’epoca, con un discreto repertorio di frasi musicali e passi.
E poi quella INTRO, immortalata definitivamente nel film Ritorno al futuro, incubo dei chitarristi in erba e sommario per punti di country, rockabilly e blues. Mi si permetta qualche riga di “chitarrese” stretto. Il fraseggio parte con un frammento di pentatonica maggiore ascendente, che però scende passando dalla settima – assolutamente non country – e approda ad una terza minore (la blue note) subito corretta maggiore. Poi un frammento a corde doppie seguito da un segmento di pentatonica minore; il bending, la corda tirata dal quarto al quinto grado, e subito suonata sulla corda sottostante in un fraseggio reiterato ben otto volte. E la frase finale, ultimo riassunto di gradi intermedi, pentatonica maggiore e minore variamente assortite e chiusa sulla tonica. Guardatevelo qui in uno dei moltissimi tutorial.
Forse inutile ricordare che Chuck Berry è stato ed è uno degli artisti più ‘coverizzati’ di tutti i tempi. Probabilmente Beatles, Rolling Stones e molti altri non sarebbero esistiti senza il suo apporto al rock’n’roll. Tutta questa serie di motivi ne fanno un indiscusso guitar hero. Giusto un assaggio di una delle cover più famose, ad opera dei quattro di Liverpool.
In una registrazione dal vivo alla BBC, 1963
E allora auguri Chuck, l’artista di cui John Lennon disse: se volessi chiamare il Rock’n’Roll con un altro nome, dovresti chiamarlo Chuck Berry.