Dal Kenya sono arrivati 200 uomini per dare manforte alla polizia. Ma Haiti deve ancora mettere sotto controllo le bande che spadroneggiano in diverse zone della capitale Port-au-Prince. La situazione per certi versi è migliorata: c’è un governo provvisorio che sta cercando di rilanciare le istituzioni, dall’estero arrivano merci e medicinali, manca però, spiega Flavia Maurello, responsabile Paese di Avsi per Haiti, una strategia di lungo termine per ridare stabilità. Intanto le gang continuano ad autofinanziarsi con i sequestri di persona, assoldano i bambini armandoli e utilizzandoli per i loro check-point, impediscono alla gente di abbandonare le loro case, considerandoli in pratica scudi umani in vista di eventuali attacchi da parte della forza multinazionale che si sta costituendo.



Il fatto saliente ad Haiti è l’arrivo della forza multinazionale guidata dal Kenya. Come si è giunti all’invio dei primi uomini di questa “task force” e che impatto ha avuto finora sulla situazione?

Quando sono atterrati ero all’aeroporto: sono arrivati con grande enfasi con un aereo della Kenya Airways. È un primo contingente di 200 persone. Nell’ottobre del 2022, il Consiglio dei ministri aveva chiesto una missione internazionale per supportare la polizia contro le bande. A luglio dell’anno scorso il Kenya ha accettato di guidare una missione autorizzata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per dodici mesi. Il parlamento keniota ha poi rallentato un po’ l’iter: dopo la crisi di febbraio il Paese africano ha manifestato qualche resistenza a inviare le sue truppe in assenza di un governo in carica ad Haiti. Ora, da fine giugno, le forze di sicurezza hanno cominciato a pattugliare Port-au-Prince.



Che compiti hanno nello specifico?

Il mandato è di rafforzare la polizia nazionale, fornire appoggio per garantire la sicurezza a una serie di strutture: l’aeroporto, l’ambasciata americana, la zona in cui si trovano il Palazzo del Governo e i ministeri. Dovrebbero contribuire a liberare gli assi viari della capitale che portano in altre zone di Haiti. Ci sono altri Paesi che devono collaborare per arrivare a una forza di mille persone. Il Kenya dovrebbe mandarne altre 200, ma anche Ciad, Belize, Bangladesh, Benin, Barbados, Giamaica, Bahamas dovrebbero contribuire a comporre questo contingente. Fino ad ora hanno pattugliato l’aeroporto e la zona dell’ambasciata americana. Non ci sono stati interventi con la polizia nelle zone calde della città.



Nei quartieri controllati dalle bande la situazione com’è ora?

Le bande impediscono alla popolazione di lasciare queste zone, in prospettiva di un ipotetico conflitto in queste aree. Ricordano i fatti del 2004-2005 quando la missione dell’ONU ebbe uno scontro aperto con le gang.

Le gang vogliono usare i residenti come “scudi umani”?

Esattamente, questo è il punto. Il potere delle bande su certe zone della città è difficile da intaccare. Anche dopo i fatti del 2004-2005 c’è stato un momento di pacificazione, in cui sono state consegnate almeno una parte delle armi, ma le bande non sono scomparse. Anzi, in seguito sono state utilizzate per influenzare una serie di situazioni all’interno del Paese, per sostenere le mire di alcuni gruppi di interesse.

Haiti, comunque, adesso ha almeno un governo provvisorio.

Sì. Il primo ministro Garry Conille è una persona di alto profilo che lavorava per l’ONU. A ritmo serrato ha ristrutturato il governo centrale e sta facendo lo stesso con i vari dipartimenti dello Stato.

Si è appena concluso, per fortuna, il rapimento di un sacerdote. Le azioni violente da parte delle bande, quindi, continuano?

È il modus operandi di sempre delle bande per sostentarsi. Lo fanno prima di tutto con i sequestri di persone, per ottenere un riscatto. È un leitmotiv per tutto il Centro America. Ci sono scontri anche tra le bande per il controllo del territorio.

Servizi essenziali come ospedali e farmacie vengono garantiti? La situazione ora permette ad Avsi di proseguire nella sua opera di sostegno della popolazione locale?

La situazione è migliorata in gran parte della città. L’apertura di aeroporti e frontiere permette di far entrare una serie di merci, tra cui i farmaci. La presenza delle bande è contenuta in certi quartieri, dove i servizi che già non c’erano continuano a non esserci. Avsi realizza una serie di attività negli spazi comunitari, sia nostri sia di altre organizzazioni, tra cui cliniche mobili per attività di salute e nutrizione. Abbiamo iniziative per i bambini e i ragazzi, un po’ il nostro centro estivo. Qui sono presenti psicologi e assistenti sociali: attraverso il gioco cerchiamo di individuare i problemi dei ragazzi per cercare di intervenire su questi. C’è inoltre un grande programma di pulizia dei canali: lo Stato è assente e non essendoci canali di scolo tutti i detriti e le immondizie della parte ricca di Port-au-Prince si riversano in certe zone. Ci sono persone che vivono in mezzo all’immondizia.

Le bande non ostacolano i vostri servizi?

Noi presentiamo le nostre attività alla comunità e il nostro staff vive in queste zone. Vengono riconosciute come servizio per la comunità stessa.

Perché proprio il Kenya si è mosso per aiutare Haiti?

Non sappiamo il motivo preciso. Gli USA hanno finanziato una serie di programmi in Kenya, potrebbe essere una contropartita di queste iniziative. Presumiamo che sia in forza di questa collaborazione.

Le bande, tra l’altro, reclutano anche i bambini. Quanto incide questo fenomeno?

Lo vediamo quotidianamente: ai check-point ci sono bambini armati, altri fanno commissioni per le gang. È un po’ il motivo per cui insistiamo sulle attività con i minori (come gli spazi che chiamiamo “Amici dei bambini”) e operiamo con gli psicologi e gli assistenti sociali. Non è semplice e in questo momento è difficile pensare a un lavoro più incisivo, proponendo alternative serie, ma stiamo lavorando anche per una seconda fase di questo intervento. È un problema di cui ci siamo occupati anche in passato.

A livello istituzionale c’è un piano, una strategia per fare uscire Haiti da questa situazione oppure per il momento si continua con la politica dei piccoli passi?

Ci sarebbe bisogno del sostegno di attori internazionali, tra cui gli USA, che per il momento non si stanno ancora posizionando. Difficile pensare che la missione attuale possa risolvere i problemi del Paese. Il nuovo Governo vuole avanzare rapidamente per quanto riguarda il riordino delle istituzioni, ma è tutto molto complesso.

(Paolo Rossetti)

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