L’ex calciatore della nazionale turca, con un passato anche fra le fila di Inter, Parma e Torino, Hakan Sukur, ha cambiato vita, e da qualche anno a questa parte ha deciso di entrare in politica. Peccato però che, per contrasti ideologici con il presidente Erdogan, lo stesso sia stato bandito dalla sua Turchia, colpito da un mandato d’arresto e tutti i bene confiscati. Al momento vive in California, a Palo Alto, e per portare a casa la pagnotta sta facendo qualsiasi tipo di lavoro. “La mia situazione è difficilissima – racconta oggi ai microfoni di Sportweek, il magazine de La Gazzetta dello Sport – mi hanno tolto ogni cosa, la patria, il lavoro, quasi tutto ciò che ho guadagnato onestamente e che ho sempre investito in Turchia: sarebbe sacro, ma non è più mio”. Quindi l’ex bomber, 227 gol segnati in carriera, ha aggiunto: “Erdogan mi aveva chiesto di far parte del suo partito perché così avrebbe avuto più voti e poi, solo perché non condividevo le sue idee e la piega del governo, mi ha trasformato in nemico pubblico. Il mio patrimonio è stato confiscato, i miei familiari perseguitati e discriminati, mio padre arrestato. Purtroppo chi in Turchia ha alzato la voce per la democrazia come me, ne paga le conseguenze”.
“Molti che giocano all’estero – prosegue Hakan Sukur – non hanno idea di cosa stia accadendo oggi, del regime che c’è in Turchia. Ci sarà qualcuno che appoggia il governo, qualcuno che punta a entrare nelle grazie di chi comanda per ottenere dei vantaggi, ma per molti è semplicemente meglio non schierarsi. Io stesso sono un monito per loro: se si alza la voce o la testa, si fa la mia stessa fine. Se qualcuno prendesse posizione, anche solo parlando di me, non potrebbe un domani tornare a giocare in Turchia perché tutto, dai club alla Federazione, è controllato dal regime”.
HAKAN SUKUR: “CALHANOGLU NON MI SEGUE PIU’ PERCHE’…”
Hakan Sukur racconta anche un aneddoto su Calhanoglu, calciatore dell’Inter ex Milan, che ha dovuto smettere di seguire il bomber turco: “Calhanoglu mi conosce – spiega – immagino sappia tutto della mia carriera come ogni turco, e prima di questa terribile situazione che vivo mi seguiva sui social media. Poi ha dovuto smettere perché un dittatore lo ha convinto che io e quelli come me sono dei terroristi”.
Un esilio forzato e ingiustificato al punto che oggi in Turchia “E’ proibito anche fare soltanto il mio nome, mi chiamano ‘quel giocatore’: è meglio per tutti starmi alla larga. Tramite amici, però, so che Calha è un bravo ragazzo, umile, e mi spiace solo non potergli parlare dal vivo. Gli auguro il meglio e spero che faccia vedere il suo talento da voi. Poi un giorno vorrei conoscerlo in un Paese finalmente libero”.