Si può guardare la storia da tanti punti di vista: economico, egemonico-militare, geopolitico o innovativo-tecnologico. Si può provare a pensarla a partire dalle civiltà, dalle grandi idee o dalle ideologie oppure dai grandi della storia. C’è però, in tutte queste prospettive, un punto di vista o meglio uno sguardo che viene sempre tralasciato, quello dell’innocente che soffre. Si tratta di una presenza diversa, che inquieta e interroga. Essa viene rimossa e non considerata da chi decide per tutti. Costringerebbe a rivedere giudizi sommari e manichei o visioni caratterizzate da cecità morale.



Le anime grandi, però, nel tempo, hanno posto con forza la fragile evidenza di uno sguardo inerme. Anscombe, Dostoevskij, Duccio di Buoninsegna, Giotto, Grossman, Lévinas, Lewis, Péguy e Prudenzio hanno visto nella sofferenza innocente una pietra d’inciampo per tutti. La sofferenza di un bambino innocente, infatti, giudica tutto, tutti e il nostro io. La presenza di un volto senza colpa ci rimanda alla profondità di noi stessi e al nostro essere stati bambini. La sua vita indifesa ci interroga sulla liceità delle nostre scelte e delle nostre azioni.



Eppure quante volte non si è voluta considerare la sofferenza dell’innocente? Si pensi all’embargo americano all’Iraq sostenuto da Madeleine Albright con i suoi terribili risultati su tanti innocenti o ai missili intelligenti con i loro “effetti collaterali”, cioè la morte di civili senza colpa. E ancora oggi le devastazioni e i ripetuti crimini commessi dai russi in Ucraina. E gli attacchi volti a denazificare innocenti che neanche sanno cos’è il nazismo. Ancora, recentemente, come un déjà-vu il ripetersi di azioni criminali contro armeni inermi. Oppure il perdurante susseguirsi delle stragi di bambini yemeniti con bombardamenti contro ospedali avvenuti nella generale indifferenza.



La storia non insegna nulla, insomma, perché sembra un Minotauro cieco che inghiotte l’inerme. Poi, l’irruzione nel nostro tempo dell’abominio turpe e blasfemo. La codardia maligna diventata spettacolo atroce. I terroristi di Hamas assassini di civili e decapitatori di bambini. Rapitori di piccoli sottratti ai giochi e diventati ostaggi della bestia che filma le prede nella sua tana. Un crimine enorme, mai visto prima, volto proprio a colpire degli innocenti e a offendere il cuore stesso del nostro essere. Ora, la reazione di Israele con bombardamenti continui che colpiscono i miliziani annidati nei loro covi, posti vicini a case di civili inermi. E l’avvicinarsi sempre più cupo di una grave catastrofe umanitaria. Una guerra che fa male all’umanità di ogni uomo ed esige la salvezza di chi non ha nessuna colpa.

Il mare di sofferenza innocente fa venire in mente una serie di personalità che volevano seguire una strada diversa: Sadat, Rabin o altri uomini di pace trucidati o Zeev Sternhell colpito da un attentato o Bruno Hussar trattato da ingenuo utopista.

La possibilità di una storia diversa, fatta di coesistenza e di rispetto dell’innocente, venuta meno.

E ora una terza guerra mondiale a pezzetti in cui i pezzetti si avvicinano minacciosamente sempre più, per iniziare a costruire un mosaico di fuoco. Eppure, se i popoli fossero chiamati a decidere voterebbero per la libertà e non per la tirannia, sceglierebbero la pace e non la guerra. I semplici, infatti, sentono nel loro cuore la sofferenza dell’innocente, anche quando non parla la propria lingua o non ha la stessa religione. Coloro che non hanno potere, infatti, non calcolano metri di terra in più da strappare e non desiderano armi più potenti. Vedono l’innocente che soffre, prima di tutto e prima di tutti.

I semplici possono essere anche dei tifosi, come quelli del Persepolis che, in uno stadio iraniano, hanno fischiato le scelte assassine e inveito contro Hamas. Ultras che sanno che un bambino non si colpisce mai. Quei giovani tifosi ci fanno fare memoria di un fatto: c’è ancora chi per la pace e per la libertà rischia insieme.

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