Caro direttore,
sono molto turbato da quello che sta succedendo nella Terra Santa intorno alla Striscia di Gaza e nella Striscia di Gaza. Ma sono ancor più turbato per il modo in cui mi turbano questi avvenimenti orrendi. Mi permetta di spiegare.
Nella mia vita ho sofferto tante volte per quanto accadeva in Israele e Palestina. Sono figlio di una mamma ebrea-sionista che mi ha educato sia nella simpatia per la storia israeliana, sia al terrore davanti agli ostili palestinesi. Poi la vita mi ha dato anche un’altra prospettiva.
Oltre ai miei studi di arabo e islam e gli anni di lavoro in Medio Oriente, ho anche passato sei anni, dal 2006 al 2012, come prete nel Patriarcato di Gerusalemme, lavorando sia nelle parrocchie sia nell’ufficio del patriarca latino di Gerusalemme, Sua Beatitudine Fouad Twal. Nel primo anno abitavo a Betlemme e fui testimone di un’incursione di soldati israeliani che causò la morte di una giovane donna incinta. Nell’inverno 2008-2009 quando dividevo il mio tempo fra la parrocchia di San Giustino Martire in Nablus e il patriarcato di Gerusalemme, una lunga serie di scontri, a seguito di accordi traditi da entrambe le parti, culminò in un lancio di razzi verso Israele da parte di Hamas. La risposta di Israele fu un bombardamento violentissimo sulla Striscia che causò la morte, secondo l’Onu, di più di 1.400 abitanti.
Ricordo non solo lo sgomento e il terrore di quei giorni a Nablus, ma anche il volto profondamente sconvolto dal patriarca Twal quando tornò da una visita nella Striscia dopo il bombardamento. Ripeteva che la devastazione era indescrivibile e mi fece scrivere lettere a suo nome ad interlocutori ebrei nelle quali metteva da parte espressioni diplomatiche e protestava perché le situazioni erano imparagonabili e la risposta israeliana era stata del tutto sproporzionata.
In Cisgiordania in quegli anni c’era sempre un’atmosfera pesantissima, come se una spessa coltre di lana bagnata ricoprisse ogni cosa. Dominava un senso fatale dell’invincibilità degli israeliani e della mancanza completa di una prospettiva di giustizia per i palestinesi. Negli anni successivi lo scambio di provocazioni fra le due parti continuò, fino a quando nel 2014 ci fu un’altra massiccia operazione militare contro la Striscia di Gaza.
Il 7 ottobre, infine, la deflagrazione delle ultime, orribili violenze che sappiamo tutti. Da parte mia non credevo alle informazioni riguardanti il numero di morti, feriti ed ostaggi di parte israeliana. Dev’esserci un errore, pensavo. Nemmeno durante la guerra per la fondazione dello Stato di Israele nel 1948 c’erano state perdite simili. Erano appena accaduti eventi totalmente inauditi, che proprio per l’indiscussa supremazia dei servizi di intelligence israeliani mi risultavano del tutto inspiegabili. Non riuscivo a organizzare i miei pensieri.
Poi, nel turbamento della mente e del cuore che le notizie avevano suscitato in me, mi sono pian piano reso conto di una cosa terribile: nonostante i tanti anni passati in compagnia di grandi anime palestinesi, con tanti rapporti di affetto e stima e tanta condivisione di fede e speranza con molti di loro, non potevo non notare che l’orrore della violenza scatenata sulla popolazione israeliana mi colpiva più intimamente, e più dolorosamente, di quanto era avvenuto in me in occasione delle violenze subite dai palestinesi. È stato un colpo mostruoso.
Cioè il mio cuore, davanti alla sofferenza umana, non si era aperto a tutti nella stessa maniera; forse per l’educazione materna sionista, forse per il terrore davanti ad attacchi terroristici palestinesi sulle cui notizie sono cresciuto, forse per il fatto che Israele si presenta come più “occidentale”, o anche, forse, per il fatto che la bravura mediatica di Israele è nettamente superiore a quella dei palestinesi. Fatto sta che, nel mio intimo, la reazione non è stata la stessa.
Ed allora ho pensato che è esattamente qui che nascono le guerre nel mondo, da cuori che rifiutano di soffrire per tutte le creature di Dio, fatte a Sua immagine e somiglianza. Le guerre nascono da un cuore come il mio, che si schiera da una parte e non si lascia tormentare per tutte le vittime, chiunque esse siano. Scaturiscono da un cuore che, come il mio, non parte nel suo giudizio unicamente dalla misericordia di Dio, l’unica nostra speranza, l’unico nostro appoggio per non perdere la nostra umanità.
Quando anteponiamo qualcosa, qualunque cosa, qualunque considerazione alla misericordia di Dio, siamo colpevoli come tutti, non meno di chiunque. Sono colpevole non meno di chiunque delle violenze che stiamo vedendo straziare la terra di Gesù.
Che Dio abbia misericordia di me, di tutti noi, del mondo, dei palestinesi, degli israeliani. Che il sangue di Cristo ci salvi dalla dannazione eterna che stiamo meritando.
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