“Hamas? Non sono terroristi”
Arab Barghouti, figlio del, per alcuni, celebre, per altri, celeberrimo, Marwan, leader del partito politico palestinese Fatah, nonché protagonista della seconda intifada, ha parlato con La Stampa della situazione a Gaza tra Israele e Hamas, oltre che dell’orizzonte che vede davanti a sé e ai palestinesi. Da 22 anni, d’altronde, si trova in carcere, per accuse che lui ha sempre rigettato ma che gli sono costate 4 ergastoli e 40 anni di reclusione.
Marwan Barghouti, così come Hamas, all’estero e specialmente in Occidente sono bollati e percepiti come terroristi, ma il figlio, Arab, ci tiene a ricordare che “anche Mandela guidava la resistenza armata ed è stato chiamato terrorista fino al suo rilascio, quando poi lo hanno chiamato eroe e leggenda”. Gli stessi cosiddetti ‘terroristi’ palestinesi che il 7 ottobre hanno dato il via all’attuale guerra contro Israele, secondo Arab Barghouti “è un movimento di resistenza. Quello che Hamas fa, lo fa in risposta all’occupazione illegale e all’oppressione israeliana”. Suo padre, invece, “in carcere si è fatto promotore di un documento, il primo, sottoscritto da tutte le fazioni sulla necessità di uno stato Palestinese che sia nei confini del 1967. Lui crede alla soluzione a due stati, ma vera non quella falsa di Oslo“.
Arab Barghouti: “Per la Palestina la resistenza armata è l’unica soluzione”
Tanto per Hamas, quanto per Fatah, che per i palestinesi, secondo Arab Barghouti “la resistenza è l’unica strada percorribile. Resistenza che non è terrorismo come israeliani ed europei dicono, visto che la resistenza, la nostra difesa, è legale secondo le leggi internazionali che riguardano ogni popolo occupato”. Di contro, l’esperienza di Abu Mazen e dell’Anp dimostrano che la politica e la diplomazia non servono, mentre “a resistenza armata ci ha portato a Oslo, a Camp David, eccetera”.
La soluzione all’attuale crisi tra Hamas e Israele, secondo Barghouti, “abbiamo bisogno di un cessate il fuoco adesso. Dobbiamo liberare tutti i prigionieri politici palestinesi in cambio dei prigionieri che si trovano a Gaza. E dopo, creare un governo, forse temporaneo, per un anno, finché non saremo pronti a fare le elezioni e trovare una nuova leadership”, giungendo infine alla tanto attesa “soluzione dei due Stati, ma che dia a noi palestinesi la nostra indipendenza, la nostra libertà, la nostra dignità e un vero Stato”.