Caro direttore,
ho letto con molto interesse l’articolo di Leonardo Tirabassi intitolato Guerra a Gaza/ Due popoli, due errori: ecco perché manca una soluzione politica, trovandomi d’accordo con quanto scritto. Poi, però, mi è sorto un dubbio: forse il mio accordo derivava dal mio essere nato e cresciuto in Italia e in un ambito cristiano. In effetti, in uno dei punti principali del discorso, Tirabassi cita principi che risalgono a san Tommaso d’Aquino. Mi sono perciò chiesto se un discorso simile possa essere accettato, o semplicemente compreso, non solo da Hamas ma in generale all’interno del mondo islamico.



Non essendo io un esperto in materia, ho provato ad immaginare un possibile punto di vista di un sostenitore di Hamas, sperando che qualcuno più esperto possa “fare le pulci” a quanto sto scrivendo. E comincerei proprio da San Tommaso e il suo jus ad bellum. Credo che per Hamas questa dizione rappresenti l’obbligo del vero credente a convertire all’islam gli infedeli, l’unico vero diritto alla guerra, alla “guerra santa”. È la tradizionale contrapposizione tra Dar al-Islam (casa della sottomissione) e Dar al-Harb (casa della guerra), cioè il mondo non musulmano. E per quanto riguarda lo jus in bello, gli infedeli non hanno diritti e, comunque, il giusto fine giustifica anche mezzi ingiusti, principio applicato, purtroppo, anche dalle nostre democrazie occidentali.



In questa prospettiva, la guerra non ha limiti temporali e l’attuale guerra con Israele è solo un episodio di un conflitto che durerà fino alla vittoria finale, non di Hamas, ma dell’islam. Se con i nostri criteri di giudizio Hamas è stato sconfitto, secondo i loro criteri l’attacco a Israele è stato un successo, riattizzando un’estesa ostilità verso quello che è considerato il principale nemico in Medio Oriente. I cristiani, in fondo, sembrano propensi ad accettare il ruolo di dhimmi, sudditi protetti, ma Israele pretende di essere uno Stato ebraico, inteso in modo sempre più confessionale dalla crescente influenza della “destra messianica” con il suo progetto di un grande Israele biblico.



Tirabassi ha perfettamente ragione quando scrive: “Israele ha solo quella terra e nessuna profondità geografica. Ogni minaccia alla sua sicurezza diventa una minaccia esistenziale a cui rispondere con tutta la forza”. Tirabassi afferma quindi essere questa una “dissonanza cognitiva che affligge i palestinesi”. A mio modesto avviso, Hamas ha ben presente questa situazione e pertanto il suo obiettivo non è di cacciare gli ebrei o limitarne la presenza in Palestina, ma la cancellazione di Israele. Tuttavia, penso che altri movimenti arabi e palestinesi siano disposti ad “accettare la realtà dell’esistenza di Israele”, e ciò vale soprattutto per la fragile dirigenza palestinese in Cisgiordania. Qui la “dissonanza cognitiva” sembra invece colpire il governo israeliano e i partiti che lo sostengono, perché è ormai del tutto evidente il completo rifiuto della formula dei due Stati. Credo che anche per i palestinesi che non hanno più problemi a riconoscere lo Stato di Israele siano inaccettabili le rilevanti dimensioni degli insediamenti di coloni israeliani in Cisgiordania. Coloni che si sono resi colpevoli di continue aggressioni nei confronti dei palestinesi ivi residenti, aggressioni diventate più numerose e violente dopo il criminale attacco di Hamas. L’esercito israeliano ha per di più recentemente rifornito di armi questi coloni.

Sullo sfondo rimane quindi non solo il fallimento della formula dei due Stati, ma, come dice in chiusura Tirabassi, “la mancanza della soluzione della convivenza di due popoli”, una convivenza che sarà sempre più difficile, qualunque formula politica verrà adottata.

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