Quando Gianni Amelio dice in un’intervista che “Hammamet non è un film su Craxi, anche se lui è il protagonista”, riesce a compiere un’acrobazia che avrà pure una valenza artistica, ma che nella realtà non convince probabilmente nessuno. Gianni Amelio è senz’altro un bravo regista e Pierfrancesco Favino, ottimo attore, si è calato nella fisicità di Bettino Craxi come forse nessuno c’era mai riuscito. Ma la trama dell’ultimo periodo di vita di Craxi, in esilio in Tunisia, non può essere solamente una metafora, oppure la rappresentazione romanzata di un dramma umano e familiare come nei racconti o nelle opere dei grandi classici.



A venti anni dalla morte ad Hammamet, Bettino Craxi è sempre un personaggio attuale e “ingombrante” della recente storia italiana e, con i tempi che corrono e la pochezza, ormai acclarata, dei nuovi protagonisti politici che gli sono succeduti, anche l’ombra del leader del Psi sembra diventare sempre più importante, mentre tutta la sua storia, non solo l’ultimo drammatico tragitto di vita, viene già adesso rivista, rivisitata e discussa sotto angolazioni molto differenti dalla scena, orrenda e devastante, delle monetine lanciate a Roma davanti all’Hotel Raphael.



Ci permettiamo di dire che Gianni Amelio ha perso una grande occasione, quella di ricostruire con qualche precisione, pur con i limiti di un racconto cinematografico, un periodo storico italiano che divide ancora le persone, che ha provocato disorientamento, confusione tra i poteri istituzionali e una lunga, infinita crisi politica e sociale, prima ancora della grande crisi del 2008.

Si può aggiungere: in che cosa consiste, ancora più esattamente, la grande occasione sprecata da Amelio con il suo Hammamet, presentato ieri in anteprima e da oggi nella sale cinematografiche italiane? Non ha saputo (o forse non si è posto il problema) cogliere e sintetizzare in un film la svolta epocale dell’Italia.



Da quella realtà che era diventata la quinta potenza industriale mondiale, poi si è arrivati al declino, al rancore sociale del 2018, e secondo il rapporto del Censis del 2019. a quello che la stragrande maggioranza degli italiani ritiene “Il grande tradimento: la società ansiosa macerata dalla sfiducia”.

Nel suo Hammamet Gianni Amelio parte da un immagine un po’ enfatizzata del 45° congresso del Psi a Milano nell’ex fabbrica dell’Ansaldo. C’è un grande discorso e una grande maggioranza intorno al leader, ma arriva una voce che riguarda il finanziamento pubblico e il finanziamento illecito del partito.

Nel film, Craxi replica con una strana e inusuale (per lui) arroganza. Il problema è come dato per scontato e quindi il racconto si sposta di colpo e comincia in modo lento, più teatrale che cinematografico, con la vita di Bettino nell’esilio drammatico di Hammamet. La nostalgia, i primi sintomi di una malattia più grave, i primi ricoveri in ospedale e poi la figura di un Craxi sempre più intimo e ripiegato su se stesso che dialoga con la figlia soprattutto, ma che dimostra tutta la sua profonda sfiducia nel futuro.

Per chi lo ha conosciuto, anche il Craxi di Hammamet era certamente un uomo intristito, ma sempre pieno di voglia di combattere, di scrivere libri, di rispondere e smascherare i suoi nemici politici. Tutto questo nel film di Amelio appare pochissimo, sembra limitato alle battute dei giornali dell’epoca e non c’è nessuna ricostruzione del personaggio reale, che viene invece filmato come un ammalato che sta andando inevitabilmente incontro alla morte.

Nel racconto intimistico, Amelio inframmezza battute di visitatori e risposte di Craxi sui problemi dei “quattrini”. Si vede Craxi che risponde anche a turisti italiani che lo insultano. Ma qui il racconto del film è veramente squilibrato. Non aggiunge nulla alla vulgata corrente. Mentre ci furono attestati di amicizia e di ammirazione e c’erano ricordi importanti da accennare, magari, con concisione, ma non da sottacere.

Se la storia di Sigonella, che ha portato apprezzamento da parte di tutti a Craxi, nel film di Amelio viene affidata al gioco di un nipotino, non c’è la minima traccia del Craxi che si schiera con l’Occidente sulla questione dei missili SS20 sovietici. Neppure un cenno sul Craxi che il 4 maggio del 1977, nel XXX anniversario della ricostruzione della casa di Carlo Marx a Treviri viene invitato da Willy Brandt a parlare del nuovo riformismo, che in Italia era in minoranza dagli anni dieci del Novecento. Ma perché Brandt invita Craxi e non Berlinguer? È così scomodo dire che il Pci, malgrado qualche ripensamento, non faceva parte dell’Internazionale socialista?

Neppure altri accenni sulle missioni fatte da Craxi per conto dell’Onu, come un piano votato all’unanimità nel 1990 dall’Assemblea generale sull’azzeramento dei debiti dei Paesi del terzo mondo. E naturalmente nessun accenno ai discorsi fatti alla Camera sul finanziamento illecito, che era purtroppo sempre esistito e doveva essere eliminato, così come non si contrappongono mai i “mille miliardi “ arrivati al Pci (fonte Stephane Courtois e altri documenti emersi dagli archivi del Kgb) dall’Unione Sovietica nemica ufficiale dell’Occidente. Craxi, che Amelio filma sempre sdraiato su qualche lettino, muore drammaticamente e viene trovato da sua figlia Stefania.

Amelio ha in tutti i casi confezionato un film che molti vedranno per la curiosità della vita e dell’attività di Craxi in questo periodo. Ma avrebbe potuto anche aggiungere qualche cosa all’immagine del Craxi bambino monello che rompe i vetri con una fionda, aprendo e chiudendo il film.

Basterebbero qualche dato dell’ultimo governo Craxi: debito pubblico all’89,11 percento; crescita del 3 percento, crescita della produttività del 25 per cento, riduzione dell’inflazione dal 21 percento al 4 per cento, nonostante i due choc petroliferi degli anni Settanta.

Ogni tanto qualcuno straparla e sarebbe bene ricordare. Amelio non ci pensa proprio, anche perché onestamente dice di non aver mai avuto simpatie per il leader socialista e non aver mai votato per il Psi. Con questo film intimista vuole forse dimostrare solo un poco di compassione per un personaggio molto scomodo che ha contestato da giovane la “democrazia progressiva di Togliatti e da uomo la democrazia consociativa di Berlinguer”.

Di democrazia normale, occidentale e liberale, naturalmente, non si parlava mai. Sfortuna ha voluto che ne parlasse Craxi.