LA FILOSOFA HANNAH ARENDT CHE SALVA CENTINAIA DI RAGAZZI EBREI SENZA MAI DIRLO (QUASI) A NESSUNO

Hannah Arendt durante la persecuzione del nazismo ha salvato centinaia di bambini e ragazzi ebrei tedeschi inviandoli in Palestina: è una storia di bene e di libertà come tante per fortuna ve ne sono state negli anni bui della Shoah, ma praticamente è inedita ai più. La grande filosofa ebrea, amata da molti ma contestata da altrettanti, ha scritto tra le pagine più illuminanti della produzione culturale e filosofica del Novecento, riuscendo a decostruire il totalitarismo individuato non solo nell’orrore nazifascista ma in tutti quei “ismi” che arrivano a deturpare idee e convinzioni (dal comunismo sovietico fino al sionismo spinto, per citare solo due altri esempi).



In tutto questo, i suoi saggi – da “La banalità del male” a “Le origini del totalitarismo” – sono una pietra miliare per la cultura europea ed occidentale: eppure su Hannah Arendt, che pure si è detto e scritto molto della sua vita privata, un dato come quel salvataggio di ragazzi ebrei non si era quasi mai sentito. Nell’ultima biografia di Thomas Meyer – “Hannah Arendt. Die Biografie” – si sottolinea come agli inizi del sionismo era la stessa filosofa ad averne fatto parte per aiutare i tanti che non ebbero la fortuna di riuscire ad abbandonare la Germania prima della “caccia” di Hitler al popolo ebraico. Dalla clandestinità ha contribuito, riportano documenti inediti emersi, a salvare la vita a centinaia di bambini ebrei tedeschi trasportandoli in Germania.



IL “SILENZIO” DEL BENE CONTRO LA BANALITÀ DEL MALE

L’eccezionalità di queste azioni è però decisamente duplice: da un lato l’essere riuscita ad aiutare in tempi molto difficili e rischiando in primis lei, dall’altro resta altrettanto impressionante il fatto che Hannah Arendt di queste azioni non volle mai raccontarle a nessuno, se non accennandolo una volta in una intervista tv in merito all’organizzazione del ritorno in Palestina dei ragazzi tedeschi di origini ebraiche. È stato invece Meyer a cercare informazioni in merito trovando una lettera privata scritta da Arendt ad un amico, riportata anche sul “Corriere della Sera” lo scorso 2 ottobre: «sono sul punto di mettere insieme il primo gruppo di ragazzi per la Palestina. Vorrebbe fare lezione a questi ragazzi, insieme a me? E portarli nell’unico Paese sulla terra che gli può dare un po’ di sicurezza?».



Una volta giunta poi a Gerusalemme dove visse per diversi anni, Hannah Arendt scrisse decine di lettere simili impegnandosi in prima fila con la fuga dei bambini dalla Germania nazista. Per la filosofa accusata poi anni dopo di non essere più così “vicina” al sionismo per il semplice fatto di aver liberamente rivendicato che il male del mondo non risiede solo nel nazismo e nella Shoah (ma che invece contamina qualsiasi ideologia totalitaria), la scoperta di questi atti e azioni porta alla luce un bene “silenzioso” che si è con forza ribellato alla “banalità del male” della Seconda Guerra Mondiale. Secondo il suo biografo, Hannah non volle fare pubblicità di quei salvataggi in quanto «per lei non aveva senso dire di aver salvato qualche centinaio di ragazzi. Alla domanda su che cosa avesse fatto in quegli anni rispondeva: niente»,