Sembra messa lì sullo sfondo, ma in realtà è la protagonista assoluta: è la provincia italiana, è Pavia. La città, per dirla con una delle strofe di una delle loro canzoni più famose, con “due discoteche e 106 farmacie”. Stiamo ovviamente parlando della serie del momento, Hanno ucciso l’uomo ragno – La leggendaria storia degli 883 (6 degli 8 episodi sono disponibili su Sky e Now Tv, il gran finale è atteso per il prossimo venerdì), il racconto romanzato dell’avventura musicale di Max Pezzali e Mauro Repetto – due ragazzi di Pavia, appunto – portati al successo agli inizi degli anni ’90, dall’indiscusso talents-scout dell’epoca, Claudio Cecchetto.
Per chi ha vissuto quegli anni, e nonostante le assicurazioni fornite dagli autori e dagli stessi protagonisti, la ricostruzione sembra intrisa di un approccio nostalgico e molte licenze. Mauro Repetto, che non ha partecipato alla scrittura della sceneggiatura, si limita a condividere “l’ossatura del racconto”. Molti altri, tra cui Fiorello che all’epoca collaborava alla squadra di Cecchetto, non si sono ancora pronunciati. In effetti, scavando nella memoria, quel successo appariva allora, e lo è ancor di più oggi, abbastanza inspiegabile.
Non solo perché i nostri due protagonisti – per loro stessa ammissione – non sanno suonare e costruiscono le loro basi musicali su rudimentali computer acquistati da un improbabile rivenditore di chitarre. Non tanto perché uno dei due non doveva per contratto neanche cantare, ma solo agitarsi sul palco. E forse nemmeno per i testi, decisamente pop per l’epoca. Quello che la serie non spiega è perché oggi – dopo trent’anni – quei suoni e quelle parole determinano un così grande successo tra i giovani di ieri e quelli di oggi.
Il fenomeno ricorda il successo di film come Sapore di Sale o Vacanze di Natale, di serie tv come Raffa dedicata a Raffaella Carrà, che del resto hanno aperto davanti ai nostri autori un filone inesauribile. Lo show-runner di Hanno ucciso l’uomo ragno è Sydney Sibilia, che ha raggiunto il successo nel 2023 raccontando in un film la storia di un altro caso di successo “musicale” di quegli anni: Mixed by Erry. È una malattia che ci attanaglia da molto anni e da cui non possiamo guarite facilmente. Sono anni che la “nostalgia” è diventata tra l’altro un’attività economica rilevante. Il ricordo, spesso manomesso, ingigantito, trasfigurato in un passato positivo e, neanche a dirlo, molto meglio di quella è la nostra vita oggi, è un prodotto di marketing assai facile da piazzare. E la breve storia di successo degli 883 fa proprio giusto al caso.
Premesso tutto ciò, la serie è gradevole, ben fatta, i giovani attori hanno lavorato bene e si sono impegnati molto nell’interpretazione di personaggi che non hanno fatto mancare in queste ore il loro “protagonismo”, con lunghe interviste su se stessi. Un riconoscimento particolare merita Ludovica Barberito, la giovane attrice esordiente che interpreta Silvia, nella serie forse l’unico personaggio completamente inventato e quindi vero, risultato della somma di diverse donne che hanno fatto da muse ispiratrici dei principali successi scritti da Max Pezzali. Almeno a suo dire.
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