Un amico mi invita a rileggere un celebre racconto di Ernest Hemingway, Un posto pulito, illuminato bene. Scritto nel 1926 da un autore nemmeno trentenne, entrò a far parte dei Quarantanove racconti. In un caffè all’aperto due camerieri servono insofferenti l’ultimo cliente, un vecchio sordo, solo nella notte che avanza. Pare abbia tentato di uccidersi, dicono: lo ha salvato la nipote. Ma perché lo ha fatto, se è pieno di soldi? Desiderosi di chiudere il locale, versato l’ultimo brandy, invitano il vecchio ad andarsene. Questi con dignità, pagato il dovuto, si allontana, abbandonando la scena. Restano in primo piano i due camerieri: il più giovane, che ha tutto, “gioventù, fiducia, lavoro”, ha fretta di raggiungere la moglie a casa; il più anziano, a cui non resta che il lavoro, resta solo con le sue riflessioni.



Si direbbe che l’ombra del vecchio sordo gli sia rimasta addosso: anche lui procede e sosta nella notte alla ricerca di qualcosa. La sua però non è paura – dice. “Era un niente che conosceva troppo bene. Era tutto un niente, e anche un uomo era niente”. Un sentimento strano, indefinibile. “Alcuni ci vivevano e non lo avvertivano mai, ma lui sapeva che era tutto nada y pues nada y nada y pues nada”. Si innalza qui la più blasfema delle preghiere. “Nada nostro che sei nel nada, nada sia il nome tuo il regno tuo nada sia la tua volontà nada in nada come in nada. Dacci questo nada il nostro nada quotidiano e nadaci il nostro nada come noi nadiamo i nostri nada e non nadarci in nada ma liberaci dal nada; pues nada. Ave niente pieno di niente, niente sia con te”.



Il cameriere diventa a sua volta cliente di un bar notturno: al barista, ovviamente, chiede un “nada”, ricevendo la definizione di “otro loco más” (un altro pazzo). Poi ordina qualcosa, ma la conversazione non parte, come la sua in precedenza con il vecchio sordo. Ora può riprendere la strada verso casa dove finalmente si sarebbe addormentato, senza più pensare. “Dopo tutto, si disse, probabilmente è soltanto insonnia. Chissà quanti ce l’hanno”.

Il magistrale racconto di Hemingway evoca le atmosfere di Nighthawks di Hopper, il grande pittore del silenzio e dell’attesa, ma il pensiero corre anche a L’uomo dal fiore in bocca di Pirandello. Il vecchio sordo è una domanda: il cameriere anziano la raccoglie, ma poi la spegne. Scambia la fragilità di quel vecchio per insignificanza e inconsistenza. Eppure, conosceva bene quell’angoscia senza nome; era una domanda di tanti, di tutti, ma alcuni sembravano non accorgersene. Era emersa inaspettata tra le pieghe polverose del quotidiano; in mezzo agli stracci di una giornata qualunque si era affacciato il Mistero. Era una domanda sua, senz’altro, e il vecchio gliela aveva ricordata, con la sua sola presenza: occorreva dare una risposta, e si può rispondere anche negandola. Tutto era nada, nulla, anche un uomo era niente. Bastava trovare dei rifugi confortevoli, un caffè pulito e illuminato bene. E poi forse si trattava solo di insonnia.



La questione del senso è ineludibile, se vogliamo restare uomini. L’uomo, innalzando la sua preghiera al nulla, chiede di essere strappato dal nulla, ma tutto intorno “cospira a tacere di noi”, come scrive Rilke. Come stare davanti a una domanda vertiginosa senza crollare, senza cedere alla tentazione di ridurla o di negarla? La grande arte di Hemingway ci rimette davanti al nostro implacabile desiderio, alla nostra domanda infinita.