Non sono un esperto nè un commerciante del settore ma, da appassionato, seguo da oltre vent’anni l’evoluzione tecnica della fotografia. Più per l’occasione di incontrare un amico lontano, quest’anno ho visitato il Photoshow a Milano. Ero mentalmente disposto a non coltivare grandi attese d’ordine estetico o culturale, trattandosi di un “evento” eminentemente commerciale: ma la realtà ha superato ogni mio tentativo d’arrivare “preparato”.
L’afflusso di entusiasti fotoamatori non è certo mancato, e ad esso ha perfettamente corrisposto l’opulenza degli stand allestiti dalle grandi case giapponesi e coreane. Una cornice senza dubbio sfarzosa e barocca, ricca di dorature e stucchi, un fasto d’altri tempi, un profluvio di risorse profuse ad arricchire ed abbellire il contenuto della manifestazione.
Unico problema, si trattò d’una grandiosa cornice funzionale a nascondere del tutto il quadro, perché quest’ultimo era assente.
In termini squisitamente commerciali, di vere novità non se ne sono viste: la solita lotta, ormai un po’ stantia, a colpi di megapixel, i soliti due protagonisti duellanti, Canon e Nikon, che paradossalmente han bisogno l’uno dell’altro per stimolare un mercato sempre più saturo, Sony che ha la tecnologia necessaria a produrre sensori (per quasi tutti, Nikon compresa) ma deve arrabattarsi con vecchi Minolta e nuovi Zeiss per dotarsi di obiettivi, Olympus e Panasonic con il loro formato “aperto” 4/3 che ormai dal 2003 convince gli ingegneri e lascia freddini i fotografi…il tutto farcito dalla solita cascata di compatte, tutte destinate ad essere sostituite tra meno di 6 mesi, e tutte o quasi prive di un vero mirino ottico, per diseducare chi fa click dall’osservazione genuina della realtà, preferendole un display sempre più grande e sempre più cagione di un “effetto spettatore” in chi dovrebbe invece diventare protagonista dei propri scatti.
Ma la folla si è bevuta volentieri tutto questo nulla schiumoso e luccicante, dedicandosi essenzialmente ad immortalare – nei vari stand – giovani bellezze, scosciate quanto basta, tutte dotate di sorriso plastificato-ammiccante, messe in pose ed atteggiamenti improbabili, a cavalcioni di formula uno e moto GP: sì, perchè in fondo questo comunque piace e fa dimenticare che di vere novità al Photoshow non ce n’era nemmeno una.
E così, decine e decine di personaggi, attrezzati come fossero reporter del National Geographic, si sono dati gomitate ed occhiatacce per riuscire a conquistare un posto in prima fila davanti alla prosperosa di turno, e finalmente scattare un’immagine, inconsapevolmente identica a quelle di migliaia di altri sbavanti in reflex e telezoom tutto attorno, il giorno prima e il giorno dopo, per omnia saecula saeculorum, amen.
Immagini che il nostro cervello massmediato ha già assimilato e radicato da decenni nei propri recessi, ma che evidentemente i nostri ritenevano di dover assolutamente scattare e proporre ancora.
Basta guardarsi quel finto trailer di Maccio Capatonda su You Tube in cui vengono sagacemente derisi i film di Natale dei Vanzina per avere un’idea del livello culturale e fotografico degli utenti finali della manifestazione.
Ma – appunto – la cornice è vecchia come il mondo, e di novità, novità vere, nessuna.
No, una c’era, anzi, non c’era: Leica, ossia la casa che la fotografia moderna l’ha inventata, era assente. Il distributore Poliphoto ha ritenuto che il marchio meritasse una diversa collocazione e contestualizzazione, che non fosse riducibile alla massificazione totale.
O forse, più semplicemente e cinicamente, che quei pochi facoltosi Leichisti, ormai quasi solo collezionisti e non fotografi, avrebbero disertato questa manifestazione, non giustificando le spese di uno stand ad hoc.
Come dare loro torto?
(Rolando Guatta)