Sulla questione della presunta neutralità del mondo e delle cose che si fanno del mondo, si gioca una partita decisiva. Mentre, tutto sommato, l’alterazione della percezione della realtà che strumenti pre- illuministici (la ruota, il coltello, la leva…) potevano avere era limitata, ciò non vale più per gli strumenti della nuova tecnologia. Abbiamo anche visto alcuni accenni di questa differenza.



Ma perché ce l’ho con Facebook? È un esempio di quei “social network” che da qualche anno spuntano come funghi. È fondamentalmente una “piazza” che permette alle persone di incontrarsi, mettere su delle vetrine dove esporre se stessi e tenersi in contatto. Dovrebbe essere una boccata d’aria fresca rispetto alle aberrazioni di cui la rete è piena. E invece?



Incontrarsi. Se accettiamo che l’uomo è un “tutt’uno di corpo e anima”, se prendiamo sul serio che Dio stesso si è incarnato, se speriamo di risorgere nella carne, dovremo pur riconoscere che qualcosa di fondamentalmente diverso avviene in un incontro virtuale, chattando, rispetto a un incontro reale, nella carne. Sentire il profumo, stringere una mano, dare un bacio, guardarsi negli occhi, ridere insieme (non digitare “hahahahahahah”….): tutto ciò è possibile solo attraverso il corpo.

Se mi preoccupa una frase come “stasera ci vediamo su Facebook”, o il fatto che si chatti nella propria cameretta più volentieri che uscire a prendere una birra, è perché si viene a cambiare radicalmente il significato dello stare insieme. Questo tipo di rapporto per procura, solitario, è allo stare insieme umano ciò che la pornografia è al rapporto coniugale.



Mettere su delle vetrine per esporre se stessi. Da sempre l’uomo, e in particolare l’adolescente, è tentato di portare delle maschere. Uno vuole sottolineare certi aspetti di sé e nasconderne altri. Ciò viene inevitabilmente smascherato proprio con gli amici, perché non è possibile nascondere a lungo la verità di sé dalle persone vicine. E l’essere smascherato davanti a un altro è l’essenza stessa del rapporto umano maturo. Tutto il resto è “pubbliche relazioni”.

Cosa succede quando due, tre, quattro ore al giorno (o “sempre”, come da recente promette una rete di telefonia cellulare…) uno “vive” in un mondo virtuale, con una faccia che si è costruita da sé? Cosa succede quando l’io pubblico diventa più importante dell’io privato?

Tenersi in contatto. L’uomo, fatto a immagine e somiglianza del Dio Uno e Trino, è fatto per la comunione. Proprio questo spiega la straordinaria rapidità di crescita di Facebook, che interpreta questo desiderio sommo, ultimo. Ma che cosa ne fa? Gli amici diventano una pura quantità (“io ho 731 amici”…). Amici carissimi, semplici conoscenti, e ex-fidanzati sono tutti messi sullo stesso piano. Eh sì, gli ex-: ci vuole coraggio per avvicinarsi alla propria ex- e parlarle. Devi essere deciso, e sapere cosa vuoi. Mandare un sms è già più facile. Tenere un filo tramite Facebook è proprio facilissimo. 

Nella solitudine della propria camera, non veramente alla presenza di una persona, che è fatta di sguardi, pause, espressioni del viso che rivelano le tracce dei sentimenti provati, della storia comune: in quella solitudine si può scrivere, senza impegno, “sai, stavo pensando a te, magari ci vediamo…”

L’inferno, per quanto ne so io, dev’essere una cosa simile. Una solitudine tremenda, tutto maschere con niente dietro, senza mai l’esultanza della vera comunione, quella per la quale si dice: “Sei stanco, e non ce la fai più. E d’un tratto incontri nella folla lo sguardo di qualcuno – uno sguardo umano -, e tutto diventa improvvisamente più semplice.”

Ecco, il mio lungo giro, iniziato quattro articoli fa, si è concluso. La domanda che mi vorresti fare ora, alla fine di questa geremiade contro la tecnologia, è probabilmente: “E quindi? Non devo usare il cellulare, la tv, la macchina, ecc.?” La risposta più semplice che ho trovato è (ovviamente!) su YouTube, https://www.youtube.com/watch?v=49rcVQ1vFAY. Riassumo così: davanti a un qualsiasi dispositivo tecnologico, fai tre domande. 1. Quale promessa fa questa cosa, quali problemi mi risolverà? 2. Mi interessa la sua promessa? Ho davvero questi problemi? 3. Quali altri problemi mi creerà?

Non si tratta di demonizzare né di dare assoluzioni generali, ma di giudicare. E forse si troverà che certi anelli, come ben sa Frodo, non conviene portarli.