Fra gli studenti delle scuole medie inferiori il 97% ha in casa un computer, il 54% lo ha nella propria camera, il 50% ha la propria scheda su Facebook con un ulteriore 17% che è in procinto di iscriversi e più del 7% passa oltre tre ore al giorno davanti a un monitor, TV o PC che sia. Questa la fotografia che emerge dall’indagine su “Abitudini e stili di vita degli adolescenti” 2009, che la Società Italiana di Pediatria realizza ogni anno dal 1997.



È una fotografia che come tale può piacere, non piacere, preoccuparci o lasciarci indifferenti. Resta comunque una fotografia che offre un importante spunto per alcune riflessioni sui nostri ragazzi e il loro rapporto col web.

Vediamo due scenari, volutamente del tutto antitetici, ma entrambi ugualmente soddisfacenti i dati emersi dalla ricerca.



Scenario 1. Un ragazzo di 13 anni ha in camera il suo PC e dopo scuola lo utilizza per fare i compiti. Si connette a una cartella di classe per scaricare gli esercizi e ricorre al dio-Google per trovare quelle informazioni, cartine geografiche, foto che possano arricchire e abbellire i suoi elaborati. Nel frattempo poi è connesso a Facebook e riceve dei messaggi dai suoi compagni su qualcosa che è successo a scuola o nel giro degli amici o per ottenere qualche dritta sui compiti che non vengono. Finito il suo lavoro, chatta con un’amica e organizza un’uscita per il giorno dopo, sbircia sulla Gazzetta le classifiche di Champions prima di andare a vedersi un film che gli interessa o lo incuriosisce alla tele, in DVD o su Sky. Magari sgranocchiando patatine assieme a un fratello o qualcuno che lo è venuto a trovare.



Scenario 2. Un ragazzo di 13 anni ha in camera il suo PC e lo vive più che come strumento di contatto come un reale oggetto di tentazione. Trascura le attività che gli sono richieste, è affamato di anonimi contatti su Facebook, ricerca in continuazione “stimoli” forti che arrivino dalla pornografia o dal razzismo non importa poi molto. Purché siano intensi e di impatto. Dopo passa in sala e alla tele privilegia quei programmi che vivono dello stesso sadismo dei contenuti proposti prima dal web, sebbene solo reso più socialmente accettabile dal fatto di essere inserito in reality o fiction o giochettini di palinsesti nazionali. Che possono far sghignazzare, al massimo ridere, ma mai sorridere.

 

In entrambi i casi abbiamo un ragazzo che si organizza il pomeriggio in una condizione logisticamente simile, solo che i due scenari differiscono profondamente in un aspetto: nel primo caso ci troviamo davanti a un ragazzo che sta bene. Da cosa lo notiamo? Non dal fatto che ci appare come un generico e classico “bravo ragazzo” da manuale, quanto piuttosto che si muove in maniera economica. Ossia usa e trasforma la realtà a suo beneficio, per trarne vantaggio.

Nel secondo caso è invece evidente l’atteggiamento antieconomico del ragazzo. Il suo lavorare in perdita. Non impara, non gioca, non si informa, non si diverte. È già preso dentro un bulimico consumo di immagini e contatti che polverizzano le sue ore in istanti privi di tempo. Perché non c’è tempo senza rapporto, essendo il tempo sempre il tempo del rapporto.

Facebook stesso, che costituisce fonte di apprensione per molti, andrebbe guardato secondo quest’ottica. Se rappresenta l’orizzonte totalizzante di puri contatti spacciati per “amici” da cui viene per principio espunto il giudizio di affidabilità sull’altro, allora diviene una trappola perversa in cui i giovani restano incastrati. Un meccanismo capace di assorbire il tempo e l’energia e, nei casi più gravi, di portarli su cattive strade e coinvolgerli in cattivi incontri. Ma anche qui occorre sempre ricordare che un ragazzo che sta bene sa distinguere le cattive strade e se ne tiene lontano. Non perché si trattiene con un titanico sforzo di volontà, ma semplicemente perché trova di meglio da fare e da frequentare, non gli interessano.

In altre mani invece Facebook è l’occasione per contattare gli amici, reali, in modo nuovo, per organizzare velocemente tornei di calcetto, per scambiarsi idee e impressioni, per comunicare i propri pensieri e stati d’animo.

 

 

Non sostitutivo del rapporto reale con un altro di carne, riconosciuto e giudicato come affidabile e meritevole di compagnia, ma semplice temporaneo ausilio per mantenere il contatto. Come il vecchio telefono con la rotella dei numeri che i suoi genitori probabilmente utilizzavano la sera suscitando lamentale da parte dei grandi di allora.

Resta comunque che all’adulto è quantomeno chiesto di non essere ingenuo sulle potenzialità, anche negative, del web e sulla necessità di vigilare e proteggere bambini e ragazzi da ciò che, se messo in scena troppo precocemente, può scandalizzare e turbare.

L’indagine della Società Italiana di Pediatria sottolinea infatti come «abitudini alimentari rischiose, scoperta precoce del sesso, bullismo, fino all’inclinazione verso comportamenti rischiosi, fumo, alcol e droghe» siano in relazione al tempo trascorso in Internet. Trascorso male, aggiungo io. Senza che nessuno esercitasse quel necessario e rispettoso livello di controllo dato dal semplice interessarsi a cosa vede e chi frequenta, pure on-line, il proprio figlio.

È anche la latitanza di adulti vigili e attenti associata alla mancanza di una proposta convincente di forme alternative e soddisfacenti di convivenza e socialità a rendere irresistibile per i giovani la tentazione e praticabile senza difficoltà la strada verso ciò che di virtuale li danneggia realmente.

Se invece si troveranno di fronte ad opportunità riconoscibili come positive ed interessanti e se avranno ancora conservato la disposizione ad approfittare delle buone occasioni propria di quando erano bambini, i ragazzi non avranno dubbi su come usare gli strumenti oggi a loro disposizione. Accompagnati da un adulto compagno. Perché sempre di strumenti si tratta, in mano alla libertà dell’uomo, anche quando molto giovane anagraficamente.