Le proteste sulla privacy rischiano di mandare Facebook in tilt. A impensierire il colosso creato da Mark Zuckerberg non c’è soltanto Openbook, il motore di ricerca in grado di mettere a nudo le falle del social network. Per il 6 giugno prossimo è prevista la prima giornata mondiale di sciopero contro Facebook, ribattezzata “Quit Facebook Day”. Ma a minacciare il gigante dai piedi d’argilla in questi giorni ci si è messo anche il Pakistan, che ha deciso di chiudere il sito accusato di diffondere materiale blasfemo contro Maometto. E per chi non vuole rinunciare alla propria privacy, ma vuole continuare a servirsi di Facebook, il Sussidiario spiega quali sono le due applicazioni più semplici ed efficaci disponibili sul web.



Un gruppo di ingegneri di San Francisco ha creato un sito che permette di cercare tra gli aggiornamenti di stato degli utenti di Facebook di tutto il mondo. Il motore di ricerca, chiamato Openbook, è in grado di setacciare i messaggi scritti da persone che non hanno reso privato il proprio status. Cliccando per esempio la parola “arrabbiato”, vengono fuori 145 status di persone italiane aggiornati nell’ultima ora, con tanto di nome e foto. Con un utente che per esempio scrive: «Arrabbiato? Sai, io mi arrabbiavo quando avevo una ruota sgonfia, quando perdevo un aereo…».



Mentre un tifoso napoletano della squadra Sanità Calcio rivela: «Purtroppo oggi per inderogabili impegni di lavoro non potrò assistere al grande evento della vittoria della Sanità… sono sconsolato e arrabbiato.. ma sono sicurissimo che i ragazzi passeranno». I risultati di ogni ricerca mostrano il nome dell’utente, la foto e il link al suo profilo. Inoltre si può scegliere di leggere i commenti soltanto delle donne o degli uomini o di entrambi. Ma dalla home page di Openbook è possibile anche vedere le ricerche recenti degli altri utenti: un’ulteriore dimostrazione che nulla, neanche le chiavi digitate sul motore di ricerca, su Internet rimangono segrete.



 

Nel frattempo sul sito buzzfeed.com è già uscita la classifica delle 11 ricerche più frequenti su Openbook. Al primo posto, “hate boss” (odio il capo), con tanto di foto di alcune delle persone che hanno usato queste parole nel loro status. Un modo per fare sapere a tutto il mondo che si odia il proprio capo. E a quanto pare numerosi capi sospettosi si sono già lanciati su Openbook, per scoprire quali sono i propri dipendenti che esprimono apprezzamenti negativi sul loro conto. Chi sarà scoperto, passerà di sicuro un brutto quarto d’ora…

 

Nell’ordine seguono poi: “weird rash” (strana eruzione cutanea), “hammered” (martellato), “on night stand” (notte in piedi), “hate + boyfriend” (odio il mio ragazzo), “cheated + wife” (mia moglie mi ha tradito), “peed pants” (pipì nei pantaloni), “small penis” (pene piccolo), “my dui” (dui sta per “guidare sotto effetto di stupefacenti), “have sex with me” (fai sesso con me) e “nikelback + rules” (dal gruppo rock dei Nickelback).

 

Gli ideatori di Openbook sostengono di avere creato un sito per attirare l’attenzione sulle recenti modifiche alla privacy introdotte da Facebook. Intervistato dal quotidiano online australiano News.com.au, lo sviluppatore del sito, Peter Burns, ha spiegato che “per noi è stato subito chiaro che la privacy di molte persone era violata. Ma soltanto chi aveva delle conoscenze tecniche approfondite se ne sarebbe accorto. Qualcuno doveva attirare l’attenzione su questa violazione della privacy in modo che la gente capisse”.

 

Burns ha quindi creato il sito Openbook con i suoi due amici Will Moffat e James Home. Secondo Burns, la grande quantità di informazioni riservate, condivise con tutto il mondo attraverso Facebook, è sbalorditiva. “Abbiamo visto persone che rivelavano le loro malattie e cure mediche, numeri di telefono, indirizzi di casa, tragedie personali e momenti privati con i propri cari”. E quindi ha deciso di intervenire con un’azione di protesta eclatante.

 

 

Proprio come quella prevista per il prossimo 6 giugno, lanciata dal sito Internet facebookprotest.com, con l’obiettivo di invitare tutti gli utenti a boicottare il social network. Il 6 giugno è stato infatti ribattezzato come D-Day e il gruppo sta chiedendo a tutti quanti non sono d’accordo con le presunte violazioni della privacy, di astenersi da tutte le attività collegate a Facebook. Attualmente il gruppo di protesta «Quit Facebook Day» conta 2.539 membri su Facebook e 1.569 su Twitter.

 

Numeri in realtà modesti, se paragonati con i 125 milioni di visitatori di Facebook, che ne fanno uno dei due siti più visitati del web insieme a Google. Ma il gruppo dei contestatori 2.0 si presenta molto agguerrito. L’invito, postato sulla home page di facebookprotest.com, è a non connettersi a Facebook e a non interagire con esso per un’intera giornata. Assicurandosi di avere fatto log out dal social network dalla sera del 5 giugno. Oltre a non connettersi con Facebook, il 6 giugno si dovrà fare attenzione a non cliccare neanche sui pulsanti “Mi piace” linkati con gruppi del social network. Come sottolinea facebookprotest.com, “Mark Zuckerberg ha dichiarato di ‘non credere nella privacy’. In una lettere al fondatore del social network scritta il 27 aprile, quattro senatori Usa hanno protestato per i cambiamenti che hanno reso di dominio pubblico la città di residenza, luogo di nascita, gruppi approvati, interessi e amici degli utenti, che in precedenza erano visti solo dai propri contatti”.

 

E aggiunge facebookprotest.com: “Tu ci puoi aiutare impegnandoti a unirti alla nostra protesta contro Facebook del 6 giugno, scelta come il D-Day. D-Day è un termine spesso usato nel linguaggio militare per indicare il giorno in cui si incomincia un attacco o una nuova operazione”. Una vera e propria dichiarazione di guerra insomma.

 

 

E mentre si attende di vedere se la protesta riuscirà davvero a “spegnere Facebook”, il Pakistan nel frattempo lo ha già fatto. La scelta di alcuni utenti del social network di rilanciare l’idea del cartoon South Park, che aveva proposto ironicamente l’istituzione di una giornata mondiale della caricatura su Maometto, ha portato alla chiusura fino al 31 maggio del sito Internet da parte delle autorità pachistane. All’annuncio è seguita anche la decisione di chiudere Youtube, sempre per “diffusione di materiale blasfemo”.

 

Il portavoce del ministero degli Esteri, Abdul Basit, ha dichiarato: “Condanniamo con forza la pubblicazione di caricature su Facebook: ha ferito i sentimenti dei musulmani in tutto il mondo”. Niente accesso quindi per i 45 milioni di pachistani che hanno un account sul social network. E dopo la decisione del governo, a Karachi centinaia di persone sono scese in strada intonando canti contro la Danimarca, Facebook e l’Occidente in generale.

 

Per chi invece vive in Occidente e usa Facebook, ma non vuole vedere violata la sua privacy, le soluzioni possibili sono due, come rivela il sito pcworld.com. La prima applicazione si chiama ReclaimPrivacy ed è in grado di fare una scansione delle impostazioni di Facebook e informare l’utente sugli eventuali rischi. Basta visitare il sito e trascinare il pulsante “Scan for Privacy” sulla barra delle applicazioni del proprio browser. Entrando in Facebook e cliccando sui segnalibri, questo strumento analizza immediatamente le proprie applicazioni per la privacy in una finestra a popup, informandoti su che cosa è sicuro e che cosa potrebbe essere a rischio.

 

Ovviamente, Scan for Privacy lascia poi libero l’utente di decidere come cambiare le sue impostazioni. Per chi invece intende rendere completamente privato il proprio profilo di Facebook, esiste il sito SaveFace realizzato da Untangle. La procedura è simile a quella di ReclaimPrivacy: basta visitare il sito e trascinare l’icona sulla propria barra delle applicazioni. In questo caso però, non appena si entra in Facebook e si clicca sui segnalibri, si trasformano tutte le applicazioni in “solo per gli amici”.

 

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(Pietro Vernizzi)

 

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