La guerra tra i due colossi mondiali dell’High Tech, probabilmente, è solo all’inizio. Pochi giorni fa, una corte californiana aveva condannato Samsung ad un risarcimento di 1.05 miliardi di dollari ad Apple per averne violato alcuni brevetti e averne consapevolmente copiato altri. Dal tribunale di Tokyo, invece, è giunta una sentenza di segno opposto. La corte giapponese, infatti, ha stabilito che l’azienda sudcoreana, nel realizzare lo smartphone Galaxy e i propri tablet non ha utilizzato tecnologie la cui proprietà sia attribuibile a Cupertino. L’anno scorso, in particolare, la Mela aveva chiesto un risarcimento di 1,2 milioni di dollari ritenendosi danneggiata dall’utilizzo di alcuni brevetti di sua proprietà nella realizzazione del Galaxy S, del Galaxy Tab e del Galaxy S II. Raggiunto da ilSussidiario.net Massimiliano Trovato, esperto di telecomunicazioni e fellow dell’Istituto Bruno Leoni, afferma: «Il sistema dei brevetta sta evidenziando, negli ultimi tempi, una degenerazione che ne impone un ripensamento profondo. All’ordine del giorno, ci sono continue “faide” tra operatori che si giocano miliardi di dollari quasi stessero giocando al tavolo del poker; e i giudici che devono affrontare casi di questo genere si trovano di fronte a livelli di complessità e aleatorietà elevatissimi. Tutto, del resto, è diventato brevettabile». Uno degli aspetti più controversi della diatriba tra Apple e Samsung, infatti, riguarda la forma rettangolare con gli angoli smussati degli iPad. «I giudici americani hanno stabilito che, in tal caso, non si potesse parlare di violazione del brevetto. Sta di fatto che il semplice fatto che la questione sia stata posta, lascia intendere, anzitutto, che Apple quella forma l’aveva brevettata; e, dall’altro, si ritiene che un aspetto del genere possa esser ritenuto oggetto di controversia giudiziaria». La questione, quindi, secondo Trovato, non va interpretata secondo i crismi dello scontro geopolitico. «Ciò che preoccupa è come i confini della concorrenza si spostino dalle fabbriche e dai mercati alle aule dei tribunali». Non è un caso che esistano società nate appositamente per acquistare brevetti e farne pagare l’utilizzo. «Si chiamano patent trolls e sono l’esempio della deriva paradossale: se un tempo si brevettava per poter produrre, oggi si produce per poter brevettare».
A questo punto, non resta che chiedersi se il sistema dei brevetti non rappresenti, più che un metodo per tutelare la proprietà intellettuale, un ostacolo allo sviluppo. «Buona quota della ricerca accademica si sta domandando se non sia il caso di abolirlo del tutto; qualunque vincolo contenuto nella disciplina, ormai, è pressoché impotente rispetto alla possibilità di impedire qualsivoglia deriva».