Non si è fatta attendere la replica di Facebook alle parole dell’avvocato generale della Corte di giustizia Ue, Yves Bot, secondo cui gli Stati Uniti non tutelerebbero i dati personali degli europei trasferiti attraverso il social network ai server Usa. “Facebook opera nel rispetto della legge Ue sulla protezione dei dati – ha risposto un portavoce dell’azienda fondata da Mark Zuckerberg – Come migliaia di altre aziende che gestiscono trasferimenti dati attraverso l’Atlantico attendiamo il testo della sentenza”. Il social network ricorda inoltre di aver più volte detto “che non forniamo accesso ‘backdoor’ a server e dati Facebook a governi o agenzie intelligence. Come ha detto Zuckerberg a giugno 2013, non abbiamo mai sentito parlare di Prism prima che ne parlasse la stampa e non abbiamo mai preso parte ad attività di questo tipo”.



La protezione dei dati personali degli utenti europei di Facebook non è garantita a sufficienza negli Stati Uniti. Lo ha detto Yves Bot, avvocato generale della Corte europea di giustizia, secondo cui “la decisione della Commissione secondo cui la protezione dei dati personali in Usa è adeguata non impedisce alle autorità nazionali di sospendere il trasferimento dei dati degli iscritti europei a Facebook verso i server Usa”. In pratica uno stato europeo potrebbe vietare che i profili Facebook dei cittadini siano inviati agli archivi informatici statunitensi, se questo fosse necessario per garantire la loro privacy. Al momento si tratta solo di un’opinione e la decisione spetta adesso alla Corte Ue. Tutto nasce nel 2008, quando un cittadino austriaco ha presentato una denuncia presso l’autorità irlandese spiegando che, soprattutto dopo lo scandalo Datagate del 2013, le norme statunitensi non sono in grado di offrire “alcuna reale protezione contro il controllo ad opera dello Stato americano dei dati trasferiti verso tale paese”. Inizialmente l’autorità irlandese ha respinto la denuncia, ma l’uomo si è rivolto alla Corte di Giustizia Ue che invece ha accolto la sua tesi. Secondo l’avvocato Bot, inoltre, “l’accesso dei servizi di intelligence americani ai dati trasferiti” costituisce “un’ingerenza nel diritto al rispetto della vita privata e nel diritto alla protezione dei dati a carattere personale”.

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