Non ci ero mai stata e quest’anno ho avuto l’opportunità di venire al CES (Consumer Electronic Show) di Las Vegas per vedere dove va il mondo, non solo quello dell’elettronica, ma quello delle nostre vite intese come individui e come società. Il CES ha aperto i battenti ieri mattina e un’immensa fiumana di persone si è riversata in fiera. Media, operatori, buyer, analisti, pubblico, curiosi. L’area attorno ai padiglioni è stata ben presto paralizzata dal traffico che si è creato. Tutti pronti e smaniosi di scoprire le novità di prodotto di infiniti settori merceologici: televisori, droni, telefoni, elettrodomestici, automobili, computer, orologi. “Da circa 50 anni – ha dichiarato Gary Shapiro, Presidente e Ceo della Consumer Electronic Association – le tecnologie svelate al CES hanno migliorato le nostre vite e reso il mondo un posto migliore. Dallo sviluppo della connettività che hanno avvicinato le persone, alla tecnologia GPS che ha reso più sicure le automobili, da servizi gestiti in remoto che hanno portato maggiore convenienza a sensori che hanno migliorato la salute, la nostra industria ha cambiato il mondo”. La sigla magica di questo show, non nuova, ma certamente mai così evidente, è “IoT”: Internet of Things (Internet delle Cose).
Girando gli immensi padiglioni della fiera un elemento emerge, infatti, in tutta la sua forza: tutte le cose sono connesse ormai. La casa, gli elettrodomestici, i tablet, gli smartphone, le automobili, le città, i mezzi pubblici. Tutto parla con tutto e, per esempio, da uno specchio posto all’interno della propria abitazione è possibile controllare l’agenda, sapere quali chiamate abbiamo perso mentre eravamo in ufficio, verificare a che ora l’irrigatore ha finito di innaffiare il giardino, parcheggiare l’automobile nel garage, sapere se c’é qualcosa da mangiare nel frigorifero e via dicendo per un’infinità di possibili applicazioni. Più che di Internet of Things viene voglia di parlare di Internet of Everything (Internet di tutto) come amano dire i giganti della Silicon Valley. “Soltanto qualche anno fa – ricordava Shapiro – molti degli oggetti assolvevano un’unica funzione: le auto trasportavano passeggeri, i frigoriferi mantenevano il cibo in fresco e i nostri orologi indicavano l’ora.
Oggi grazie a Internet of Things (IoT), questi oggetti, e milioni di altri, hanno assunto nuovi ruoli, collegando tutto insieme nel nostro mondo connesso. Come le nostre giovani generazioni non hanno conosciuto la vita senza Internet, le prossime non potranno concepire il mondo prima di Internet delle Cose”. Travolta da un ciclo infinito di novità strabilianti e affascinanti (ho visto schermi dove mio figlio impazzirebbe giocando alla Playstation) ho cominciato anche ad avvertire se non un disagio, quantomeno una serie di interrogativi che ho condiviso con i miei compagni di viaggio. Ma siamo sicuri che vogliamo lanciarci senza freni in questa direzione? Non siamo già andati oltre il mondo del “grande fratello” che ci sembrava utopico nelle pagine di Orwell e che invece abbiamo accolto nelle nostre vite senza battere ciglio? E ancora. Non è il caso di domandarsi dove sia l’etica in questa corsa inarrestabile di Internet delle Cose? Mentre tutte queste domande alimentavano la nostra discussione, mi sono tornate alla mente le riflessioni di Evgeny Morozov nei sui articoli e nel libro “To save everything click here” che ha, significativamente, come sottotitolo “la follia del ‘soluzionismo’ tecnologico”.
Nei suoi scritti l’autore si domanda se siamo consapevoli che stiamo rendendo pubblici e condividendo una marea di dati personali di cui un tempo eravamo gelosi e che una volta in rete non sono controllabili e possono avere risvolti inattesi. La nostra privacy viene poi annullata dall’uso intensivo e senza confini non solo dei social network, ma anche delle informazioni che condividiamo all’interno dei vari sistemi (smartphone, elettrodomestici, automobili, etc). Ma stiamo andando anche oltre. Stiamo delegando a Internet of Things la soluzione dei nostri problemi. Si sta diffondendo l’idea che quello che non era possibile fino a ieri, lo sarà domani grazie a IoT. L’idea che il più bravo cardiochirurgo al mondo possa operare in remoto attraverso la tecnologia e salvare vite umane ha un valore immenso. E vorrei essere chiara, non desidero un mondo che cammina all’indietro.
Mi domando, soltanto, se tutto quello che stiamo inventando sia “buono” per definizione o debba essere valutato al di là dell’entusiasmo che genera ogni scoperta. Il mondo che in certi film degli anni Novanta o Duemila ci sembrava angosciante (Terminator) o lontanissimo (Minority Report) oggi bussa prepotentemente alle nostre porte. Anzi, è già entrato. “Dalle start up con idee innovative – ha dichiarato Gary Shapiro – fino alle tecnologie che percepiscono i nostri bisogni prima di noi, le innovazioni svelate questa settimana al CES miglioreranno la vita”. Onestamente, che la tecnologia percepisca i miei bisogni prima di me è una prospettiva che mi inquieta e credo che il nostro domani abbia un disperato bisogno di etica affinché le scelte siano consapevoli. La vita migliore di domani non può prescindere dalla centralità dell’uomo, con buona pace di IoT.