Nuova bufera su Facebook. Il noto social network ideato da Mark Zuckerberg torna nel centro del ciclone a seguito di una nuova, ennesima, violazione della privacy. Dopo la notizia in merito al fatto che le interferenze dei russi tramite Fb durante la campagna elettorale americana, furono ben più ampie del previsto, ecco un nuovo tourbillon con al centro il social network blu. A scoperchiare il vaso di pandora è l’autorevole New York Times, che punta il dito contro Facebook e contro la gestione dei dati dei suoi iscritti, tutt’altro che trasparente. In base all’inchiesta del NYT, la creatura di Zuckerberg avrebbe fornito per anni ad alcuni giganti della tecnologia e dei servizi streaming, il permesso di poter accedere a informazioni personali degli stessi utenti. Spotify e Netflix, ad esempio, hanno potuto leggere i messaggi privati delle persone, mentre Bing poteva vedere le liste di amici, Amazon arrivare alle info di contatto di una persona, e Yahoo, infine, leggere i post dei contatti di un determinato utente.
FACEBOOK: NUOVA BUFERA
Stando a quanto svelato dal New York Times, pare che Facebook abbia siglato accordi di questo genere con circa 150 aziende nel periodo che va dal 2010 al 2017. L’obiettivo, come sottolinea il Corriere della Sera, era quello di creare una sorta di partnership con altre aziende, di modo da far crescere ulteriormente la stessa piattaforma di Zuckerberg. Grazie a queste collaborazioni, infatti, Facebook si garantiva la presenza dei suoi servizi sui siti e le app dei partner, aumentando iscritti e soprattutto inserzionisti. Il New York Times rivela che anche lo stesso social blu acquisiva informazioni da altri giganti della tecnologia, come ad esempio Amazon, Yahoo e Huawei, di modo da acquisire info maggiori sui propri utenti, e “ritagliare” grazie ad esse un social più adatto alle esigenze dei vari iscritti. Inutile sottolineare come la pratica di fornire dati privati a terzi sia illegale, e va contro il rispetto delle regole pattuite nel 2011 con la Commissione Federale sul Commercio (FTC), che impediscono appunto di diffondere informazioni senza avere il consenso del diretto interessato. La piattaforma si è comunque difesa, sottolineando che nessuna delle aziende ha mai utilizzato i dati degli utenti per scopi diversi da quelli pattuiti.