Facebook rende note le linee guida interne usate per applicare gli standard della comunità. Si tratta delle regole con cui decide di sospendere o eliminare contenuti o profili, scatenando le proteste degli utenti che si sentono penalizzati ingiustamente. Loro, per la prima volta, potranno esercitare il diritto di appello richiedendo una seconda opinione se si ritene che ci sia stato un errore. Si tratta di una novità importante, visto che finora era possibile appellarsi solo in caso di chiusura del profilo o della pagina. Un revisore entro 24 ore prenderà in carico la richiesta. Non c’è una data di inizio certa per l’introduzione del diritto di appello: Facebook nel suo comunicato dice «nel corso del prossimo anno». Inoltre, riguarderà solo una serie precisa di contenuto o presunte violazioni, come nudità/attività sessuale, incitamento all’odio o violenza esplicita. Facebook ha spiegato anche che le segnalazioni sono riviste dal proprio team di Community Operations che lavora 24 ore su 24: sono coinvolti 7.500 revisori di contenuti, oltre il 40% in più di quelli che aveva nello stesso periodo l’anno scorso.
FACEBOOK, LE REGOLE PER NON FARSI “BANNARE”
Cosa dicono le linee guida di Facebook? Il social network mette al bando minacce e richiami alla violenza. Fin qui niente di nuovo, ma Facebook proibisce anche lo sfruttamento sessuale di minori, nudità di bambini, immagini di violenza sessuale, bullismo, diffusione di informazioni private che possono danneggiare qualcuno. Niente “hate speech”, i cosiddetti discorsi d’odio, immagini che glorificano la violenza, contenuti crudeli, nudità a meno che non sia d’arte. Facebook fa un’eccezione per il bullismo per figure note: possono essere al centro di un discorso pubblico anche molto critico. E ancora, no allo spam e alle false rappresentazioni/identità. Facebook cercherà di ridurre la portata e la diffusione di fake news. Il social network di Mark Zuckerberg ha voluto dunque fare un po’ di chiarezza. Questo è un altro passo in avanti in un’ottica di trasparenza dopo lo scandalo di Cambridge Analytica. Tuttavia questi passi non vanno intesi come l’ammissione da parte di Facebook di essere un’azienda editoriale. La questione non è terminologica, la differenza produce diverse implicazioni legali.