I videogiochi sono un vero e proprio mondo parallelo. E non è la solita iperbole: gli abitanti di quel mondo sono perlopiù giovanissimi, e il loro sport preferito si chiama Fortnite. Persino “sport” suona un eufemismo, rispetto a tutto quel che ruota attorno a un videogame. Anche i genitori ne hanno preso coscienza, e un numero sempre maggiore di loro è disposto ad assecondarli. Gli “allenatori” di Fortnite rappresentano un business in crescita: tra loro c’è Convertible, giocatore professionista in squadre eSports e coach per Samsung. Si legge sul suo profilo: “Una sessione tipica con me include un’autoanalisi dei propri errori, un’analisi individuale delle statistiche e la revisione del VoD”. Costo? Tra i 10 e i 25 dollari l’ora. Il gioco si presta: per diventare campioni di Fortnite sono necessari allenamenti assidui e ottime abilità tattiche, specie se si ambisce a competere in modalità Battle Royal. Così, i tutor si autopromuovono: “Ti fornirò suggerimenti e trucchi per migliorare le meccaniche e la comunicazione” (fonte: Gamer Sensei).
I PREMI
La ragione, però, è più nobile di quanto si pensi. Entrare a far parte di una squadra di Fortnite vorrebbe dire accedere a un’importante borsa di studio, che assicurerebbe il futuro universitario del fortunato giocatore. Un club eSport, Tespa, metterà a disposizione oltre 1 milione di dollari per il prossimo anno accademico. Requisiti? Allenarsi e competere a livello professionistico in sei videogiochi differenti. In Italia, il fenomeno dei tutor non ha ancora preso piede, ma il business degli eSports appare visibilmente in crescita.