Un recente studio francese è riuscito per la prima volta che il trattamento precoce dell’HIV è in grado di prevenire le reinfezioni anche dopo l’interruzione della terapia. Per quanto possa, per certi versi, sembrare scontato, si tratta di una scoperta importante, soprattutto perché potrebbe stimolare i possibili soggetti a rischio a sottoporsi a controlli medici più frequenti, al fine di ricevere tempestivamente una diagnosi ed iniziare il trattamento con i farmaci antiretrovirali.



Lo studio sull’HIV, spiega il quotidiano Le Monde, è partito dai cosiddetti, almeno in Francia, pazienti ‘controllori post-trattamento‘. Si tratta di una trentina di persone tra le prime a sottoporsi alle sperimentazioni con un farmaco antiretrovirale in tripla terapia (con l’80% del completamento entro tre mesi dall’infezione primaria) negli anni 2000 e seguiti, poi, a distanza di anni. Quei pazienti, si scoprì, nonostante avessero interrotto le terapie antiretrovirali per l’HIV diversi anni prima (follow up mediamo ogni 14 anni), conservavano una memoria forte del virus, che a distanza di 23 anni non risulta ancora essere rilevabile nel loro sangue. Cosa significa? Che quei 31 pazienti sarebbero, per certi versi, ‘immuni’ al virus, nonostante non si siano più sottoposti a nessun tipo di trattamento.



Lo studio sul trattamento precoce dell’HIV

Così, un team di ricercatori dell’Institut Pasteur (Parigi), del CEA e dell’Inserm (Università Paris-Saclay) hanno deciso di scoprire se quei pazienti ‘immuni’ all’HIV presentassero una qualche caratteristica unica, oppure avessero seguito una qualche terapia antiretrovirale particolare. Hanno, dunque, presto un gruppo di macachi già infetti da SIV (l’immunodeficienza scimmiesca) e li hanno sottoposti alle terapie, in momenti diversi.

Il primo gruppo di macachi è stato trattato con antiretrovirali per l’HIV in modo precoce (a 4 settimane dall’infezione), un secondo in modo tardivo (sei mesi dopo) e l’ultimo non trattato in alcun modo, interrompendo tutte le terapie dopo due anni esatti. Sono riusciti, dunque, a comprendere che il primo dei tre gruppi era riuscito a conservare una memoria del virus maggiore rispetto al secondo gruppo (9 macachi rispetto a 2, su gruppi da 11 esemplari). I ricercatori, infine, hanno compreso che se il trattamento per l’HIV inizia entro 5 mesi dall’infezione primaria, si riescono a conservare i geni memoria anche a distanza di decenni (periodo, quest’ultimo, sicuramente pari a 23 anni dai i pazienti francesi, ma ancora in fase di analisi).