Presto grazie agli sforzi dell’ospedale San Raffaele di Milano tutti i malati di Hiv – ovvero il virus che innesca l’infezione da Aids – potrebbero contare su di un nuovissimo vaccino che si fissa l’obiettivo (certamente importante) di rendere più semplice l’accesso alle cure per tutti coloro che non vogliono o possono recarsi in ospedale per sottoporti alla classica profilassi che oggi è in grado di salvare migliaia di vite ogni anno: il vaccino milanese contro l’Hiv è ancora piuttosto embrionale dato che è entrato solo recentemente della cosiddetta Fase 1 della sperimentazione clinica; ma dopo i test l’obiettivo sarà quello di renderlo accessibile a chiunque.



Rispetto ad altri composti simili, il farmaco in studio al San Raffaele di Milano non presenta alcuna novità importante dal punto di vista della sua azione essendo – di fatto – una terapia Long-Acting basata su Cabotegravir e Rilpivirina; ma la novità più interessante si ricollega al filone di ricerca detto ‘scienza dell’implementazione‘ con il quale si cercherà di capire quali siano i punti di forza delle varie tipologie di somministrazione per rendere – come dicevamo già prima – accessibili le cure anche a chi oggi sceglie di convivere con l’Hiv.



Il vaccino contro l’Hiv sviluppato a Milano potrà essere somministrato domiciliarmente

La Fase 1 del trial clinico sul nuovo vaccino verrà avviata – evocativamente – il prossimo primo dicembre in occasione della giornata mondiale contro l’Hiv con il progetto rinominato ‘Aladdin‘ curato ovviamente dal San Raffaele milanese e rivolto a tutti i pazienti che convivono con la patologia e risiedono nell’hinterland del capoluogo lombardo: parte dei pazienti selezionati riceverà il nuovo composto all’interno della struttura ospedaliera, mentre un’altra fetta di partecipanti si sottoporrà all’inoculazione all’interno della sua abitazione.



Lo scopo dello studio – spiega una nota diramata dal San Raffaele – è quello di comparare i dati sulle due modalità di somministrazione del trattamento “per valutare la fattibilità, l’adeguatezza e l’accettabilità di ciascuna delle due modalità” per cercare di fornire ai pazienti “risposte concrete” e migliorare così “l’adesione alle terapie“; il tutto in contemporanea ad un’iniziativa che il 2 dicembre cercherà di diffondere anche tra i non addetti ai lavori una maggiore consapevolezza ed accettazione su questa particolare patologia spesso stigmatizzata.