Si può esibire l’aborto come una conquista? Non una legge, il proprio aborto. C’è una donna così, ha un nome e un cognome che non voglio invece esibire, perché forse è la pubblicità che cerca, e ne ha fin troppa. E’ il volto e la voce della campagna pro aborto dell’Unione Atei e Agnostici Razionalisti. Evito approfondimenti.



Aborto farmacologico. Una conquista da difendere. Si tratta della famigerata RU486, quella pillolina che ti permette di espellere il grumo di cellule in un wc di casa, da sola, e tirare lo sciacquone. La testimonial grida al mondo “Ho abortito e sono felice”.  Il problema è la pittura a olio che di lei fa la rivista Vanity Fair, con intervista e foto e perifrasi che neanche la Vergine Maria da una congregazione femminile. Occhiello: “…conosce il valore della lotta e non si tira indietro, nemmeno quando qualcuno prova a instillarle sensi di colpa e vergogna”. Beata lei che non ne ha.  



Avanti col ritratto: “Capelli castani, lunghi e mossi, come nocciola sono i suoi occhi..”. Insomma, non hanno preso una chiattona coi brufoli per propaganda, normale. “Femminista intersezionale”, che non lotta solo per la difesa delle donne ma per più identità sociali, ci spiegano, io avrei  detto persone, ma sul termine persona bisogna intendersi, che magari il grumo di cellule lo rivendica, ed è meglio annacquare, confondere.  Vive a casa di mamma e papà, “perché l’indipendenza economica è un lusso”, spiega la ventisettenne. Ricordiamole che fior fior di ventenni fanno la baby sitter, le rider, le insegnanti di ripetizione, le cassiere al supermercato eccetera pur di sentirsi “libere”, senza lussi. Lei però passeggia col suo cane Baloo (attenzione: Kipling era un pericoloso razzista, come Walt Disney, il nome del cane scegliamolo con più accuratezza).  “Una che con i messaggi e le parole ci studia e lavora”, perché si occupa di comunicazione politica. Ed è sconvolta dal fiume di odio sui social, dice. Quando lei combatte solo stereotipi: chi vive nel medioevo non può che rispondere con violenza verbale e disinformazione.



Si informi sul medioevo, cara la mia giovane, ed esplori la storia fino al secolo dei lumi e oltre, fino alle nazioni faro di libertà che immagino ammiri, per vedere come stanno le donne. Lei si batte contro tutti gli stereotipi: i diritti della comunità LGBTQ+ (basteranno le lettere?), la gestazione pet altri, l’adozione per coppie omogenitoriali… Guai a pensare che siano battaglie aberranti, la libertà di pensiero e parola è a senso unico, tra i liberal, vale solo per loro. Ogni tanto per fortuna si ricorda che “non sono soltanto il mio aborto ma c’è anche altro”. Guarda un po’, visto il suo volto sui manifesti pensavamo diversamente, buon per lei. Quando le chiedono come si possa restare incinte nel 2021 per caso, risponde che le sfighe capitano. E lei ad abortire ci ha messo meno tempo che a scegliere il vestito ogni mattina. Due pasticche, due giorni dopo altre due e via. La giornalista (!) osa chiederle qualcosa sul lui, che poi sarebbe il padre del grumo espulso. Non aveva una relazione con la persona in questione che non è stata interpellata”. Una scopata finita male, insomma.

Altroché le convinzioni medievali, per cui  “secondo qualcuno la vita è tale a partire dal concepimento e vale sempre”. Sì, è così, lo ripetiamo. La vita è tale fin dal concepimento e vale sempre. Non siamo in pochi, sa? Sappiamo discutere, non solo insultare sui social. Sappiamo motivare. Siamo cattolici e non, siamo uomini di scienza. Che mettono a prova il Dna. Siamo madri, siamo donne. Senza vergogna e frustrazioni. Siamo una comunione e una fraternità, giacché lei parla di sorellanza femminista. Non escludiamo nessuno, abbiamo a cuore anche gli uomini, dai neonati ai nostri fratelli, padri, compagni, nonni. Abbiamo a cuore l’uomo, la persona. Ci teniamo, all’anima. Cos’è? Quel sussulto che ti fa alzare lo sguardo, che insinua dubbi, che tiene conto della ragione ma alla ragione non si riduce, che mette in discussione, che cerca l’origine e il fine, il significato. Senza anima, non si vive, a meno di ridursi a una macchina. Pascal lo chiamava cuore. Se ascolta bene, cara testimonial ventisettenne, sente che batte anche in lei.

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