«Ho abortito e sto benissimo, sono felice»: da questo post sui social lo scorso dicembre della 26enne Alice Merlo l’UAAR (Unione Atei Agnostici Razionalisti) ha colto la palla al balzo per proporle il ruolo di testimonial nella campagna nazionale sulla pillola abortiva RU486. Lo slogan che campeggia su manifesti e camioncini itineranti è «Aborto farmacologico, una conquista da difendere» e il volto in gigantrofia è proprio quello di Alice: raggiunta da Repubblica e Vanity Fair negli scorsi giorni, la ragazza ha rivendicato la sua scelta attaccando chi sui social l’aveva contestata per il messaggio pro-choice, «Sui social network mi danno ogni singolo giorno della fallita, dell’assassina, della puttana, c’è chi mi compatisce e chi mi scrive che sta pregando per la mia infelicità. Io però non potrei essere più serena e felice di così, ho fatto del mio personale uno strumento di lotta per i diritti di tutti e per primo per quello più importante, il diritto alla felicità».



La ragazza di Genova – da tre anni parte dello staff del consigliere regionale ligure Gianni Pastorino e responsabile di comunicazione politica per l’associazione “Linea Condivisa” – ha risposto alla chiamata dell’UAAR dopo la campagna dei pro-life, arrivata a dicembre a Genova «che paragonava la RU486 a un veleno e che non è stata mai rimossa dalla Giunta Bucci, mi ha fatto capire che dovevo parlare della mia esperienza», attacca Alice. Si definisce “femminista intersezionale” (lotta non solo in difesa delle donne ma anche per le discriminazioni alle altrui minoranze, ndr) e rivendica la scelta del suo aborto praticato lo scorso settembre.



L’ABORTO E IL PADRE

«Dire “io ho abortito e sto benissimo” è un fatto rivoluzionario in una società che dopo più di quarant’anni continua a non garantire l’accesso a questo servizio sanitario. Sradica pregiudizi e stereotipi, combatte l’obiezione di coscienza. Da quel post ho ricevuto solo affetto e messaggi di supporto, liberatori», attacca ancora Alice Merlo intervistata da Iacopo Melio su Vanity Fair. Secondo la ragazza la campagna UAAR è necessaria e aiuta perché negli ultimi anni «Si sono incattiviti i movimenti anti-scelta e c’è maggiore disinformazione spacciata per libertà di espressione. La politica non si cura più abbastanza dei diritti: in un mondo ideale una campagna come quella che sto portando avanti non sarebbe necessaria, oppure la realizzerebbe lo Stato e non l’Uaar».



Al di là della politica, Alice racconta da vicino i passaggi che l’hanno portata all’aborto e rivela di aver deciso di interrompere la gravidanza «Meno di quanto ci metto a decidere come vestirmi la mattina». E subito dopo la ragazza spiega di non avvertito minimamente né rimorso né sofferenza, «mi sono sentita sollevata, leggera, felice, grata». Altro punto assai particolare è la “spiegazione” sul come ha gestito la ‘comunicazione’ di quell’aborto deciso: «non è mai stato un segreto, anzi. Ne ho parlato sempre con serenità in famiglia, con amici e colleghi. Per questo non mi sono voluta tirare indietro quando si è creata un’occasione ulteriore per parlarne». Quando però gli viene chiesto da Melio come il padre ha preso la decisione dell’aborto del feto, Alice spiazza nella risposta «Non avevo una relazione con la persona in questione. Non l’ho semplicemente interpellato».