Ma insomma, quale sarà mai la vera America? Quella che si infiamma in questi giorni per le proteste anti-razziali e cancella dal catalogo della HBO Via col vento? O quella che tutti amiamo del “sogno americano” e della “nuova frontiera”? Le cose non sono mai così nette come sembrano, e sono sempre più complesse di come ce le raccontano. E se guardate la miniserie Hollywood (7 episodi, disponibilI su Netflix dal 1° maggio) troverete molte risposte ai vostri interrogativi.



La serie tv creata da Ryan Murphy e Ian Brennan sembra scritta proprio immaginando i giorni così difficili dell’America di oggi. È una storia inventata, ma si inscrive in una fase particolare e molto credibile della epopea del cinema e vi trovano posto numerosi personaggi reali. Come si dice, una faction. Ambientata subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale,  Hollywood racconta la storia di un gruppo di ragazzi, di diversa provenienza etnica e sociale, che cerca a Hollywood la strada del successo. Siamo nell’America che ha appena vinto la guerra, ma dove pesano ancora la segregazione razziale e le discriminazioni verso le donne, gli omosessuali, gli ebrei, i comunisti. Il cinema quindi non è solo l’occasione per questi ragazzi di conquistare il successo, ma è anche il principale strumento per cambiare il Paese, i suoi costumi, il suo modo di vedere le cose.



La casa di produzione intorno a cui ruota l’intera storia, l’ACE Studios (la ricostruzione è ispirata alla storica sede della Universal Pictures), è inventata di sana pianta. Non è mai esistita neanche la sceneggiatura che prende spunto dalla storia (reale) di una giovane attrice che si suicida dopo aver perso, per colpa del colore della sua pelle, la parte in un film a cui teneva moltissimo. La ragazza sale sul monte Lee e si getta dall’enorme scritta che sovrasta la città.

Nella storia trovano posto anche diversi personaggi realmente vissuti in quegli anni a Hollywood. Cosi in successione appaiono Vivien Leigh (la Rossella di Via col vento); Henry Willson, lo spietato agente che aveva sotto contratto i più grandi attori del tempo, interpretato da Jim Parsons, l’irriconoscibile protagonista di The Big Bang Theory (con cui ha vinto 4 Emmy Awards e un Golden Globe); Rock Hudson, interpretato da Jake Picking, la star costretta per tutta la vita a nascondere la sua omosessualità. Tra i personaggi “reali” compare anche la signora Eleanor Roosevelt, la first lady progressista, che spinge i produttori a non cedere alle minacce con cui vorrebbero indurli ad abbandonare il progetto.



Un piccolo e delizioso cammeo è poi dedicato a Mamy, la governante della famiglia O’Hara, interpretata dalla cantante e presentatrice Queen Latifah (Chicago, Bessie, The Queen Latifah Show). Hattie McDaniel, l’attrice di colore che interpretò nel 1939 Via col vento, ricevuta la nomination agli Oscar come miglior attrice non protagonista, si presentò al teatro, ma le fu impedito di sedersi in platea. Solo dopo l’annuncio della vittoria le fu concesso di entrare in sala per ritirare il premio. Hattie ricorda quel momento della sua carriera a Camille Washington, la giovane attrice in procinto di vincere l’Oscar, e la incita a non fermarsi e a non farsi intimidire: “Fallo per me, fallo per tutte noi”.

Il finale di stampo hollywoodiano è commovente, struggente, appassionato. Le critiche rivolte alla sceneggiatura per l’eccessivo “buonismo” sono davvero ingiuste nei confronti di un’opera che è anche denuncia, critica, battaglia. La vittoria finale del bene non è scontata, anche se attesa. L’ottimismo rimane l’essenza del cinema, il fine ultimo del messaggio, in ultima analisi il motivo reale per cui ne siamo costantemente attratti.