Lunedì Sky Fox trasmetterà l’ultimo episodio dell’ottava stagione di Homeland. Si concluderà così la lunga storia di Carrie Mathison, la cacciatrice di spie che per quasi 10 anni ci ha condotto in ogni angolo del globo in una realistica e avvincente ricostruzione di cosa è una vera agente della CIA. A dire il vero, senza Carrie, la sua passione, la sua durezza e le sue debolezze, la serie sarebbe stata una delle tante serie su spie e catastrofi evitate all’ultimo secondo. Una “fucking series”, come dicono gli stessi americani.



La prima stagione della fortunata produzione Showtime è andata in onda nel lontano 2011. La storia prende spunto da una serie tv israeliana, Hatufim, che racconta degli inusuali comportamenti e delle reali intenzioni di tre militari ritornati in patria dopo aver trascorso come detenuti oltre 17 anni nelle mani del nemico. Dopo l’acquisto dei diritti televisivi, Showtime ha affidato a Howard Gordon e Alex Gansa la riscrittura della sceneggiatura in chiave “americana”. Ma il tema è lo stesso. Oggi di particolare attualità anche in Italia, visto il dibattito apertosi sulla “sindrome di Stoccolma” e le inaspettate conversioni religiose.



Le prime 4 stagioni infatti sono dedicate al rientro in America di Nicholas Brody, ufficiale dei Marines che viene accolto come eroe nazionale e a cui viene prospettato un futuro politico. Ma Brody ha in serbo ben altro. Convertito all’Islam, ha stretto durante la prigionia un’amicizia con il suo carnefice, un noto terrorista, soprattutto dopo il massacro in una scuola musulmana di decine di bambini.

Brody vuole vendicare quel massacro e pensa di compiere un attentato ai vertici dello Stato. Sarà proprio l’agente Carrie Mathison a capire le reali intenzioni di Brody e a sventare l’attentato. Ma un rapporto personale e sentimentale si instaura tra i due, ne nascerà una bambina, e Brody comincia a collaborare con la CIA. Ma la sua sorte è segnata. Nelle successive quattro stagioni la storia riguarda Carrie e il suo tentativo di smettere di fare la spia e provare ad avere un vita normale, ovviamente senza successo.



Ormai sappiamo tutto della vita di Carrie Mathison, anche perché una vita vera e propria lei non ce l’ha. Ereditata dal padre una grave patologia bipolare, ha bisogno di dieta, sport e molte medicine. La sua bipolarità spesso la conduce a “vedere” le cose che gli altri neanche immaginano. Quello che si chiama in gergo spionistico un’analista perfetta. Vive da sola, ha relazioni solo con uomini che incontra sul suo lavoro (spesso che si frappongono al suo lavoro), e quando ha una figlia, decide di disfarsene, cedendo alla sorella la patria potestà.

Eppure la sua quotidiana lotta tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, fanno di Carrie un raro esemplare di umanità. In cima ai suoi pensieri vi sono gli interessi del suo Paese ma combatte anche tutti coloro che dall’interno ne minano i principi e i valori. Anche se la serie si divide praticamente in due parti (con Brody e dopo la morte di Brody), la continuità del racconto sta proprio in questo complesso rapporto tra verità e “ragion di Stato”, che poi è il tema del rapporto tra Carrie e il suo capo, Saul Berenson.

Claire Catherine Danes (Romeo+Giulietta, Piccole Donne, Un amore senza tempo, oltre a 4 Golden Goble, 3 EmmyAward e 2 Screen Actors Guild Award) è la perfetta interprete di Carrie Mathison. Sempre angosciata, cosciente di aver perduto la sua vita normale, Carrie si afferma in un mondo di uomini che giocano con il potere senza rispettare alcun principio e al cospetto di altre donne che usano il loro potere di seduzione quasi solo per tradire. Carrie pensa di fare un lavoro importante, la spia, col solo scopo di evitare guerre e perdite umane.

Damian Lewis (Billions, Band of Brothers, Golden Globe 2013) veste i panni di Nicholas Brody. Il ruolo centrale di Saul Berenson invece è interpretato dall’attore e cantante Mandy Patinkin (Criminal Minds, Yentl, A letto con Madonna). Saul è un agente della CIA di origini ebraiche (la sorella vive da anni nei territori occupati), “operativo” in ogni angolo della terra (dalla Berlino del 1978 all’Afghanistan dei giorni nostri) rappresenta fisicamente la continuità storica della politica estera americana. Saul esprime un profondo amore paterno per Carrie, una stima incondizionata, ma allo stesso tempo non esita a punirla quando i suoi comportamenti risultano indifendibili in sede “politica”. Cerca sempre di proteggerla, ma soprattutto da se stessa. 

Non sempre Saul riesce in questo impresa, come accade proprio nell’ultima stagione. A Saul serve Carrie per vincere le resistenze pakistane verso l’accordo che dovrebbe condurre al ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan (spesso il racconto precede decisioni reali della politica estera degli Stati Uniti). Saul non esita a prelevarla – ancora convalescente – dall’ospedale dove è in cura per la lunga detenzione in Russia (finale della settima stagione). Ma ormai Carrie è vittima della stessa “politica del sospetto”. Infatti, i vertici della CIA la considerano passata – durante la lunga detenzione – dalla parte del nemico. Il dubbio nasce a causa dello stretto rapporto personale che Carrie dimostra di avere con Yevgeny Gromov, un agente russo che riappare all’improvviso anche sul teatro d’azione pakistano.

Carrie nonostante i sospetti continua da sola la ricerca delle reali cause della morte del Presidente americano, giunto in Pakistan per firmare l’accordo con i talebani ma precipitato poco prima con un elicottero in territorio afgano. I talebani integralisti rivendicano l’attentato, ma in realtà l’elicottero è caduto per un banale incidente tecnico. Per salvare il mondo da un conflitto tra potenze nucleari, Carrie cerca di rientrare in possesso della scatola nera. Ma il suo collega russo gliela sottrae, per poi cercare di ottenere in cambio notizie riservate. Carrie finisce di fronte al dilemma se sacrificare la persona a lei più cara (Saul) o far prevalere l’interesse del suo Paese.

Homeland è una delle più belle serie Tv in circolazione, una “prima cerchia” verrebbe da dire, cioè una di quelle serie che è possibile rivedere più volte senza stancarsi. Ancora una volta il dilemma è tra il bene collettivo e quello individuale, tra il male minore e la ragion di Stato. Le persone sembrano essere sempre le stesse, ma spesso rivelano più facce e più identità. Povera Carrie, le sue colpe sarebbero riconducibili ai suoi disturbi bipolari. Come se non lo fossimo un po’ tutti, chi più, chi meno.