Lo scacchiere internazionale si allarga dalla crisi di Hong Kong all’annoso scontro Usa-Cina in corso già a livello economico con la guerra sui dazi: mentre in un primo momento il Presidente Trump aveva minimizzato le manifestazioni anti-Pechino che avevano bloccato prima il Parlamento e ora anche l’aeroporto internazionale, ora il n.1 della Casa Bianca interviene in maniera diretta e lanciando un annuncio che farà discutere. «La nostra intelligence ci ha informato che il governo cinese sta spostando truppe al confine con Hong Kong», ha scritto su Twitter il Presidente Donald Trump, aggiungendo «Tutti stiano calmi e al sicuro». L’Alto commissariato dell’Onu per i diritti umani ha chiesto un’indagine approfondita sulle misure usate dalle autorità di Hong Kong contro i manifestanti e la Cina pare non aver preso affatto bene la richiesta: la missione diplomatica cinese presso l’Onu a Ginevra ha denunciato «la dichiarazione ingiustificata sulle manifestazioni ad Hong Kong. Tale dichiarazione contraddice i fatti, interferisce con quanto accade a Hong Kong, che sono affari interni della Cina, e invia un segnale sbagliato a criminali violenti. Le manifestazioni hanno recentemente preso una piega violenta con comportamenti che non hanno nulla a che fare con una manifestazione pacifica». Per tutti questi motivi, il Governo comunista di Pechino chiede ufficialmente all’Onu «di cessare con l’interferenza negli affari di Hong Kong nonché a smettere di fare commenti irresponsabili». Il livello dello scontro si fa sempre più pesante e con conseguenze sempre più globali e non più solo riconducibili alla richiesta di autonomia dei giovani manifestanti di Hong Kong.



700 ARRESTI TRA MANIFESTANTI ANTI-CINA

Mentre prosegue la lunga protesta presso lo scalo di Hong Kong, con diversi scontri avvenuti tra turisti e manifestanti con i primi che lamentavano l’impossibilità di partire con voli già prenotati da mesi, la polizia ha fatto sapere di aver arrestato quasi 700 persone dal 9 giugno scorso fino ad oggi. In quel giorno iniziarono le proteste ufficialmente contro il Governatorato di Carrie Lam (con continue richieste di dimissioni finora mai prese in considerazione, ndr) e oggi, con l’aeroporto di fatto bloccato da due giorni, il rischio per l’economia e la tenuta sociale dell’isola “dominata” dalla Cina è sempre più alto. «I manifestanti sono stati arrestati per reati tra cui “aver preso parte a una rivolta, assemblea illegale, aggressione di agenti di polizia, resistenza all’arresto e possesso di armi offensive», fa sapere ancora la polizia di Hong Kong tramite un comunicato reso pubblico dalla Cnn. Se saranno giudicati colpevoli rischiano fino a 10 anni di carcere. Il mondo culturale e politico “dissidente” contro Pechino in queste ore, oltre a protestare contro il governo cinese, si scaglia anche contro Trump e la sua posizione di “minimizzazione” della crisi a Hong Kong: «E’ ben leggibile il cambio di tattica da parte delle autorità a questo punto, sono diventati più brutali dopo che Trump [ai primi di agosto] ha dichiarato che non interferirà fra Hong Kong e Cina. Un segnale molto negativo direi. Se diamo retta a quelli che sono sempre stati i valori degli USA dovrebbero supportare la libertà, la democrazia e la libertà di stampa. E’ molto sbagliato mandare un segnale del genere verso un altro regime autoritario da parte di una superpotenza, può costare più vite e più spargimento di sangue», ha spiegato l’artista cinese dissidente Ai Wei Wei ai media Usa nelle scorse ore.



CANCELLATI TUTTI I VOLI DA HONG KONG

È ancora caos in tutta Hong Kong per le proteste dei manifestanti che per il secondo giorno consecutivo hanno bloccato l’aeroporto internazionale della città-stato governata dalla Cina: diverse centinaia di manifestanti sono tornati nel terminal delle partenze occupando l’area del check-in, impedendo ai passeggeri di salire in aereo. Per questo motivo, l’Airport Authority ha bloccato tutte le operazioni di accettazione e i voli in partenza ad Hong Kong, cancellando i voli per due giorni consecutivi. In realtà è da 5 giorni che i manifestanti hanno occupato parte dell’aeroporto, come avvenuto settimane fa con il Parlamento durante le proteste anti-legge estradizioni in Cina: la richiesta di autonomia e democrazia prosegue ma il rischio di tensioni internazionali che derivino dalla crisi di Hong Kong stanno portando crisi nelle Borse asiatiche con ripercussioni in tutto il mondo (in aggiunta al caos generato in Argentina per la sconfitta di Macrì alle primarie, ndr). «Le operazioni all’aeroporto internazionale di Hong Kong hanno gravi problemi, tutti i voli in partenza sono stati cancellati. Consigliamo a tutti i passeggeri di lasciare gli edifici del terminal il prima possibile», spiega la nota dell’aeroporto di Hong Kong. Nel frattempo, l’Alto Commissariato Onu per i diritti umani ha espresso «preoccupazione per la situazione a Hong Kong», richiedendo un’inchiesta immediata sui comportamenti delle forze dell’ordine nei confronti dei manifestanti.



COSA CHIEDONO I MANIFESTANTI DI HONG KONG

Prima era la legge sulle estradizioni in Cina, poi è stato direttamente il governo pro-Pechino della leader Carrie Lam e in generale le proteste continuano per le difficoltà sempre maggior di una “autonomia” in quello che è conosciuto come “un Paese, due sistemi”. Il caos a Hong Kong prosegue e dopo le due giornate di chiusura dell’aeroporto gli scenari che si aprono davanti sono molteplici e al momento quasi tutti imprevedibili. Secondo quanto raccontato oggi a Il Sussidiario da Giuseppe Gagliano, «un eventuale fallimento da parte di Pechino nei confronti dell’attuale rivolta costituirebbe un successo indiretto e insperato di natura politica sia per gli Stati Uniti che per Taiwan, che ha sempre rivendicato la sua autonomia e la sua indipendenza da Pechino. Infatti, è interesse degli Stati Uniti che la Cina non riesca a conseguire l’obiettivo di integrazione, ma che rimanga al suo interno frammentata». I manifestanti chiedono democrazia e autonomia dal Governo centrale cinese ma è proprio quanto Pechino vede di difficile risoluzione, visto che «minerebbe o farebbe venire meno il progetto di integrazione cinese». Intervistato a In Terris, il professore Storia Contemporanea all’Università Cattolica di Milano, Agostino Giovagnoli spiega «Credo che a Hong Kong si stia toccando un punto molto pericoloso, perché le proteste, apparentemente senza fine, non hanno uno sbocco politico dal punto di vista politico. C’è confusione su ciò che i manifestanti si propongono. La società è stata compatta nel rifiuto della legge sull’estradizione e nella richiesta di dimissioni della governatrice, ma non lo sarà su quelle azioni che danneggiano gli interessi economici di Hong Kong. Siamo di fronte a una protesta che pare sfuggita di mano, difficile da controllare».