Già approvata dalla Cina lo scorso marzo, è stata approvata anche a Hong Kong la riforma elettorale che di fatto, come ci ha detto in questa intervista il professor Massimo Introvigne, sociologo, fondatore del Cesnur e del sito Bitter Winter che documenta la repressione civile e religiosa in Cina, “rientra nella logica di omologare Hong Kong al resto della Cina”.



Aumentano i membri del consiglio legislativo da 70 a 90, ma solo 20 di questi saranno scelti attraverso il voto (erano 35), 40 saranno scelti da un comitato controllato da Pechino e 30 da “collegi funzionali”, rappresentanti di gruppi di interessi storicamente legati alla Cina. “Diventerà, come il Parlamento cinese, una pura organizzazione di facciata, un’appendice decorativa di un sistema non democratico” ci ha detto ancora.



È stata approvata una nuova legge elettorale che limita ulteriormente i poteri popolari. Che ne è dei rappresentanti delle opposizioni?

Si erano già dimessi dal Parlamento di Hong Kong. Tutto quello che sta succedendo rientra nella logica di omologare Hong Kong al resto della Cina. Anche in Cina esistono assemblee di facciata: il Parlamento nazionale non prende alcuna decisione, è piuttosto un modo per il partito di distribuire incarichi onorifici a personalità che il partito vuole premiare. Tutti conoscono il monastero di  Shaolin, molto visitato dai turisti occidentali, dove si insegnano le arti marziali. Siccome l’abate è una persona lealissima al regime, l’hanno messa in Parlamento.



Hong Kong è dunque ormai indirizzata verso un non ritorno? Sta scivolando sempre più nelle mani di Pechino?

Quella di Pechino è una macchina che una volta messa in moto, con la legge sulla sicurezza nazionale produce effetti in tutti gli ambiti, quello dei media, quello elettorale, giudiziario, della polizia. Lo scopo finale è quello di ridurre quanto era contenuto nell’accordo con il Regno Unito, “un paese due sistemi”, a un paese e un sistema. Tutte le specificità di Hong Kong una dopo l’altra vengono eliminate. Sarà una omologazione totale, Hong Kong diventerà una città cinese come tutte le altre.

L’occidente sembra aver esaurito le sue minacce di provvedimenti in difesa di Hong Kong, come stembrava fosse in un primo momento. Ha deciso di non rovinare i proficui scambi commerciali?

Va detto che il Regno Unito sta facendo un’iniziativa concreta e molto utile, anche se è l’unica, quella di offrire asilo politico a tutti coloro che intendono o riescono a fuggire da Hong Kong. È utile soprattutto a chi è più esposto politicamente e rischierebbe di passare molti anni in carcere. Quando però si gestiscono i rifugiati è un segnale che la partita è persa.

A proposito di oppositori, il magnate dei media di Hong Kong Jimmy Lai già in carcere ha subito una condanna ulteriore di altri venti mesi, così anche il giovane oppositore Figo Chan. Cosa resta di quel grande movimento democratico che tanto filo da torcere aveva dato?

Credo che il movimento si stia trasferendo all’estero con i suoi rappresentanti. A Hong Kong proteste come quelle che ci sono state tempo fa oggi sono impossibili con il sistema di polizia in atto. Diventerà impossibile manifestare per la democrazia come lo è già a Pechino. Alcune proteste recenti sono durate pochi minuti poi sono finiti tutti in prigione.

Ma la grande finanza mondiale che per decenni ha prosperato a Hong Kong, che fine farà?

È già totalmente omologata alla Cina, le grandi banche hanno espresso solidarietà non alle persone arrestate ma alla Cina. Pechino ha già pronto il piano B, sa benissimo che Hong Kong perderà lo statuto di città semi-occidentale riconosciuto in particolare dagli Usa, perderà il trattamento di favore sul piano finanziario e fiscale. D’altro canto i cinesi possono spostare tutto sulla piazza di Shangai, che fa buoni affari con tutto il mondo senza essere considerata semi-democratica come era Hong Kong. I cinesi hanno messo in conto che molte istituzioni a capitale misto europee e britanniche si sarebbero piegate.

Continueranno insomma a fare affari.

Si è visto molto bene in Gran Bretagna quando è intervenuto Boris Johnson due volte. È vero che il parlamento ha dichiarato la Cina colpevole di genocidio, ma è anche vero che Johnson su pressione di alcune banche ha evitato accuratamente di sbloccare un emendamento che avrebbe consentito al parlamento di bloccare alcune attività commerciali con paesi colpevoli di genocidio. Mancano le conseguenze commerciali. In Italia è passata una mozione che condanna le attività del Partito comunista senza usare la parola genocidio. Solo Usa, Canada, Olanda e Lituania hanno parlato di genocidio. Ai cinesi in qualche modo danno fastidio, ma se non sono seguite da provvedimenti sanzionatori sul piano commerciale non fanno effetto. Biden è favorevole a prendere provvedimenti contro la Cina, per cui penso che gli Usa prenderanno dei provvedimenti di boicottaggio anche economico, ma temo che li seguiranno in pochi. Non l’Italia certamente.

(Paolo Vites) 

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