LONDRA — L’onda lunga della protesta esplosa ad Hong Kong contro la Cina è arrivata a Londra con violenza. Giovedì sera il ministro della giustizia della Repubblica Popolare Cinese, Teresa Cheng, è stata seguita e strattonata da una trentina di manifestanti pro-Hong Kong, in una strada di Londra, a Camden. La donna si stava recando al Chartered Institute of Arbitrators dove avrebbe tenuto un discorso per promuovere Hong Kong come centro per la soluzione alternativa delle controversie. Circondata da manifestanti inferociti, Cheng è caduta sul selciato ed è finita all’ospedale, dove le hanno medicato un braccio.



L’episodio violento ai danni della Cheng, che sicuramente non si aspettava di essere attaccata nella capitale britannica, rappresenta uno sviluppo inquietante della protesta in atto a Hong Kong, che in qualche modo viene esportata in Gran Bretagna. Manifestazioni in altri paesi, in solidarietà con chi protesta a Hong Kong, ci sono state, ma si tratta del primo episodio ai danni di una autorità cinese in un paese europeo.



Teresa Cheng è un ministro di Pechino ed è stata presa di mira da sostenitori del movimento per la democrazia a Hong Kong, che da cinque mesi è sconvolta da proteste violente contro il governo cinese. La miccia che le ha accese, a giugno, è stata la proposta di una legge da parte delle autorità di Hong Kong per consentire l’estradizione in Cina dei loro cittadini sospettati di un crimine. Gli oppositori a questa legge hanno paventato il rischio che i cittadini di Hong Kong potessero in questo modo essere estradati e sottoposti a processi ingiusti, specie se considerati attivisti o dissidenti. In particolare, la legge è stata vista come un modo per Pechino di aumentare il suo potere su Hong Kong, ex colonia britannica tornata alla Cina nel 1997, che – rispetto alla madrepatria – gode ancora di maggiore libertà. Almeno per ora. Per esempio, i cittadini di Hong Kong possono riunirsi liberamente e godono della libertà di espressione. L’ordine giudiziario e il sistema legale sono separati da quelli cinesi. Ma fino a quando? Dal 2047 lo status “speciale” di cui gode Hong Kong non sarà più tutelato dalla legge e non si sa come andrà a finire.



A settembre, in seguito alle dimostrazioni, la legge sull’estradizione è stata sospesa, ma i manifestanti sono convinti che possa essere riproposta e le proteste sono continuate, soprattutto contro la polizia cinese che ha dato prova di non esitare a usare metodi repressivi e violenti sui manifestanti, alcuni dei quali hanno perso la vita.

Qualche giorno fa un uomo è morto dopo che un mattone, lanciato durante gli scontri con la polizia, lo ha colpito in testa. Molti giovani studenti sono rimasti gravemente feriti negli scontri di questi mesi. E proprio in questi giorni Hong Kong è entrata in recessione, la prima dopo parecchi anni.

L’episodio di Londra mostra che la protesta non resta confinata a Hong Kong. La Cina ha condannato l’attacco al ministro Cheng attraverso un suo funzionario, Geng Shuang, che ha detto che nel Regno Unito c’è chi “sostiene atti di violenza…. per creare caos” nell’ex colonia britannica.

Un’accusa simile a quella lanciata, a settembre, dall’ambasciatore cinese a Londra, Liu Xiaoming, che aveva detto che i politici britannici fanno mostra di una mentalità “coloniale” quando esprimono sostegno ai dimostranti di Hong Kong. Accuse non nuove, quindi, di interferenza negli affari interni cinesi.