Quello tra albergatori e OTA (online travel agencies) è un matrimonio spigoloso, nato sull’onda dell’entusiasmo soprattutto dei piccoli operatori che circa 25 anni fa videro nelle tecnologie social un modo rapido per presentarsi a un pubblico vasto, altrimenti difficilmente intercettabile. Da allora il feeling degli inizi è andato però stemperandosi, fino ad arrivare a veri e propri attriti. Oggi succede che la maggior parte delle ricerche e delle successive prenotazioni di camere avvenga tramite la rete, bypassando agenzie e hotel, regalando alle piattaforme più attrezzate (Booking.com, Airbnb, Expedia…) un quasi monopolio, frutto anche del grande investimento in digital marketing delle stesse, un lavoro continuo che si traduce nell’enorme visibilità sui motori di ricerca. Ma succede anche che dalle pretese modeste per l’intermediazione degli inizi si sia arrivati oggi a percentuali pesanti, ben oltre il 10%.
Da un’indagine interna di Hospito (un progetto di web marketing turistico nato in Val d’Aosta) è emerso che almeno il 70% degli albergatori italiani riconosce a Booking.com e alle OTA tra il 15% e il 20% del fatturato. Non solo, oltre la metà degli albergatori lamenta politiche di prezzo e clienti non in linea con gli standard di servizi da loro offerti. “In realtà, paghiamo anche molto di più del 20% – dice Massimiliano Schiavon, presidente di Federalberghi Veneto -. Se si valutano le condizioni particolari di Booking.com (ad esempio per le prenotazioni fatte da mobile, o il programma Genius, o ancora il boost per incentivare la visibilità) si può arrivare facilmente a raddoppiare quelle percentuali: un albergo che ha aderito a programmi di posizionamento particolare sulla piattaforma si può ritrovare a incassare meno del 50% sulla tariffa di vendita della camera. E se si considerano spese e tasse, si capisce bene che è un meccanismo insopportabile”.
Il fatto è che, al di là dei mugugni, gli albergatori non hanno ancora il potere negoziale necessario per spuntare un trattamento migliore. “Dopo due anni di stop per la pandemia – continua Schiavon -, siamo tornati punto a capo, e fino a quando la nostra non diverrà sul serio ‘massa critica’ non riusciremo a cambiare niente”.
Due anni di stop che hanno colpito, comunque, anche le OTA, che nel 2019 in Italia avevano intermediato prenotazioni per circa 5 miliardi di euro, con commissioni per un miliardo, denari sui quali non è ben chiaro dove e quanto vengano versate le tasse. Tutto fumo che adesso la Procura di Genova vorrebbe dissolvere: è già partita una richiesta di rogatoria all’Olanda (sede legale europea di Booking.com), con l’ipotesi di un’evasione Iva per oltre 150 milioni di euro. Dopo il 2019 – secondo uno studio di GlobalData -, la pandemia ha causato alle OTA una perdita sul mercato, nel 2020, del 60,4%. Ma la ripresa si sta avverando anche per le agenzie online, che confidano di ritornare quanto prima ai valori precedenti: dal 2015 al 2019 il loro segmento aveva registrato una crescita del 9,4% del tasso di crescita annuale composto (Cagr), raggiungendo 480,3 miliardi di dollari.
Ma, con la ripresa del turismo, sono ripresi anche i mal di pancia degli albergatori, che si sentono prigionieri di una sorta di ricatto. Tanto da spingere il senatore di FI Massimiliano Mallegni (anche lui albergatore) a presentare all’esame del dl “Taglia prezzi” un emendamento che imporrebbe ai portali online di intermediazione alberghiera una percentuale massima dell’8%. L’uovo di Colombo, si direbbe, ma si tratterebbe in realtà di una disposizione contraria alla libertà di iniziativa economica e di impresa, oltre che alla libera concorrenza, e causerebbe sperequazioni tra piattaforme online e operatori offline. Una strada, dunque, ben difficilmente percorribile. E infatti l’emendamento è stato subito bocciato. “Molto, molto meglio – aggiunge Schiavon – riuscire a compattare la categoria attraverso le associazioni di categoria, per trattare poi direttamente con le major di intermediazione turistica e raggiungere compromessi accettabili. Qualche anno fa, ad esempio, gli albergatori di Jesolo avevano fatto quadrato e, minacciando velatamente le OTA di ritirare le loro disponibilità di camere dalle piattaforme, avevano spuntato migliori condizioni. Poi si sono succedute fughe in avanti, e ognuno è andato per suo conto, subendo ancora una volta i diktat. Bisognerebbe ritornare a quelle posizioni intransigenti e compatte, e magari, nel frattempo, credendo e investendo di più sul digital marketing in-house, cioè nei siti diretti delle strutture”. Disintermediare, insomma. Mentre si va irrobustendo anche un fenomeno inverso allo showrooming (la moda di recarsi in un negozio “fisico” per toccare con mano quello che poi si finisce per acquistare online): nel turismo accade che molti consultino i siti delle OTA, ma poi prenotino attraverso quelli delle strutture, che tra l’altro sono autorizzate a praticare tariffe migliori ai clienti “diretti”.
“Bisogna costruire una cultura d’impresa condivisa, ed è quello che come associazione stiamo cercando di fare, ormai da tempo”, conclude Schiavon. Un percorso a ostacoli, perché la visibilità offerta dalle OTA è indubbiamente un’arma strategica, anche sui mercati stranieri. Un recente sondaggio di EY-Parthenon rivela che circa il 70% dei turisti che utilizzano una OTA non proviene dal mercato classico per una struttura ricettiva; praticamente tutti gli albergatori ammettono che le piattaforme online aumentano la visibilità a livello globale; e l’85% degli albergatori concorda sul fatto che le piattaforme online sono un modo efficiente in termini di costi per aumentare la portata del proprio hotel e attirare ospiti diversi. Ma un recente studio di Hotrec (hotel, restaurant and cafes è l’associazione che raggruppa alberghi, ristoranti, bar ed esercizi similari similari in Europa) conferma anche il dominio indiscusso di Booking.com: il portale rappresenta il 68,4% delle vendite alberghiere effettuate da OTA, seguito a grande distanza da Expedia e HRS, con il 16,3% e il 7,2%.
Quello tra OTA e albergatori, insomma, più che un matrimonio, sembra sempre più una guerra asimmetrica.
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