La Cina sta chiudendo e modificando centinaia di moschee nelle regioni settentrionali di Ningxia e Gansu, che ospitano le comunità musulmane più numerose dopo lo Xinjiang. Lo segnalano i ricercatori di Human Rights Watch (HRW), secondo cui ciò rientra in una più ampia campagna di “sinizzazione” delle minoranze religiose cinesi. Stando al rapporto, il numero di moschee in queste zone si sta riducendo in maniera significativa. Tramite l’analisi delle immagini satellitari, i ricercatori hanno esaminato la politica di consolidamento delle moschee in due villaggi. Hanno scoperto, ad esempio, che tra il 2019 e il 2021 sono stati rimossi da sette moschee cupole e minareti. Quattro moschee sono state modificate in modo significativo: tre edifici principali sono stati rasi al suolo e la sala per le abluzioni di una è stata danneggiata.
Hannah Theaker, docente dell’Università di Plymouth che ha condotto ricerche sull’argomento insieme a David Stroup, dell’Università di Manchester, evidenzia che tutto ciò serve a «garantire immediatamente l’impossibilità di utilizzarle, [in modo che] sia stato effettivamente rimosso come luogo di culto, senza essere visibile». Come riportato dal Guardian, Theaker e Stroup stimano che circa 1.300 moschee in Ningxia – un terzo del numero totale registrato – siano state chiuse dal 2020. Questa stima non include le moschee che sono state chiuse o demolite a causa del loro status non ufficiale, la maggior parte delle quali è avvenuta prima del 2020.
MOSCHEE CHIUSE IN CINA, “IN CORSO CAMPAGNA DI SINIZZAZIONE”
Human Rights Watch (HRW) non è stata in grado di determinare il numero preciso di moschee che sono state chiuse o modificate negli ultimi anni, ma i rapporti governativi suggeriscono che probabilmente sono centinaia. A Zhongwei, una città con oltre 1 milione di residenti, nel 2019 le autorità hanno dichiarato di aver modificato 214 moschee, consolidato 58 e vietato 37 «siti religiosi registrati illegalmente». Invece, nella città di Jingui, le autorità hanno dichiarato di aver «rettificato» oltre 130 siti «con caratteristiche architettoniche islamiche». La politica di consolidamento delle moschee non si limita, comunque, al Ningxia e al Gansu. L’Australian Strategic Policy Institute stima che il 65% delle 16mila moschee dello Xinjiang sono state distrutte o danneggiate dal 2017. Secondo un imam di Ningxia, intervenuto a Radio Free Asia, questa politica della Cina farà perdere lentamente la fede alla prossima generazione, che «non avrà fiducia nell’Islam». Quindi, così «i musulmani verranno lentamente sinizzati».
Maya Wang, direttore ad interim per la Cina di Human Rights Watch (HRW), ha dichiarato che «la chiusura, la distruzione e la riorganizzazione delle moschee fa parte di uno sforzo sistematico per limitare la pratica dell’Islam in Cina». Un portavoce del governo cinese respinge le accuse, dichiarando che «le persone di tutti i gruppi etnici in Cina hanno pieno diritto alla libertà di credo religioso come previsto dalla legge». Inoltre, rivendica la risolutezza di Pechino «nel respingere e combattere l’estremismo religioso. Le normali attività religiose dei credenti sono garantite in conformità con la legge e i loro costumi rispettati». Il Partito Comunista Cinese (PCC), riferisce il Guardian, da tempo mantiene la presa sulle minoranze religiose ed etniche della Cina. Di certo dal 2016, quando il presidente Xi Jinping ha chiesto la sinizzazione delle religioni cinesi. Da allora il ritmo e l’intensità delle modifiche alle moschee è cresciuto.