Con un’eco mediatica incredibile, il 3 di giugno si è aperto il processo contro Hunter Biden – rampollo del Joe presidente d’America – pochi giorni dopo la criticatissima condanna inflitta a New York a Donald Trump: l’accusa (ma ci arriviamo subito) è di falsa testimonianza, ma la cosa più interessante è che in aula è spuntato nuovamente il “laptop infernale” che nel 2020 era stato citato dal tycoon repubblicano durante la campagna elettorale contro il Dem che avrebbe vinto alle urne un paio di mesi più tardi. Ad oggi non è ancora chiaro l’intero contenuto del laptop di Hunter Biden, ma grazie al lavoro del New York Post parte del (presunto: è bene sottolinearlo) contenuto del computer è stato reso pubblico e getterebbe sotto una luce – richiamando Trump – “infernale” il rampollo e l’attuale presidente uscente.
Facendo un piccolo passo indietro, ricordiamo che il processo che si è aperto tre giorni fa a Wilmington, nel Delaware, parte dall’accusa di una presunta violazione delle norme sulla detenzione di armi da parte di Hunter Biden che – come dimostrerebbero alcuni dati tra foto, mail e messaggi estratti dal laptop – avrebbe mentito sul modulo dichiarando falsamente di non essere tossicodipendente.
La storia del “laptop infernale” di Hunter Biden: cosa contiene quel computer misterioso
La storia del laptop di Hunter Biden affonda le sue radici nel 2019 quando – attorno ad aprile – il rampollo presidenziale portò il suo computer, un MacBook pro 13, in un piccolo centro riparazioni di Wilmington perché (così spiegò al proprietario del negozio, tale John Paul Mac Isaac) ci aveva versato sopra dell’acqua. Passarono i mesi e a dicembre il portatile non era ancora stato recuperato, ma nel frattempo Mac Isaac era riuscito a salvare l’intero contenuto dell’hard disk scoprendo le prove di alcuni reati tra cui delle presunte attività finanziarie illegali, l’uso di droga e la prostituzione; tutto corredato da alcune foto gelosamente custodite sul laptop che ritraevano in diverse pose e con diverse persone Hunter Biden.
Ciò che sappiamo oggi – visto che è stata l’FBI a confermarlo nel tribunale di Wilmington – è che quel laptop sarebbe in loro possesso almeno dal dicembre del 2019 e che conterebbe (ma non siamo ancora arrivati a questo punto del dibattimento) prove concrete che Hunter Biden avrebbe fatto uso di crack e cocaina nel periodo – l’ottobre del 2018 – in cui acquistò un revolver Colt Cobra mentendo sul modulo di acquisto.
Secondo quanto è riuscita a ricostruire la redazione del New York Post – che grazie al già citato Mac Isaac ha ottenuto una copia del computer – ci sarebbero anche alcuni scambi di mail e messaggi tra Hunter Biden e alcuni esponenti politici esteri che lascerebbero intendere l’esistenza di un qualche conflitto commerciale della famiglia Biden.
Il laptop di Hunter Biden e l’uso strumentale della giustizia da parte del Dem USA
Il nodo – però – non è tanto il laptop in sé o i presunti reati (comunque gravi e che necessitano di un’indagine credibile) commessi da Hunter Biden, quanto l’atteggiamento di suo padre e dell’interno FBI nel corso degli ultimi anni. Tornando a quel dibattito del 2020, infatti, dopo che Trump citò pubblicamente l’esistenza del computer incriminato – ricorda USA Today -, l’allora non ancora presidente Joe smentì categoricamente tutte le accuse contro Hunter Biden, leggendo una lettera di alcuni presunti ex funzionari dell’intelligence – “cinque ex capi della CIA, di entrambi i partiti” disse – che indicavano il laptop come una fake news diffusa della Russia per agevolare la corsa presidenziale del tycoon.
La lettera aiutò a sgonfiare l’enorme bolla mediatica che si era creata grazie alle mail diffuse dal New York Post, ma saltando avanti di altri 4 anni ed arrivando ad oggi sorge il dubbio su quanto fosse reale quel timore degli ex funzionari; mentre alcuni critici puntano il dito contro l’uso strumentale (vedi voce: Donald Trump a New York) che i democratici americani riescono a fare della giustizia e dei media tradizionali.