Sarà capitato anche a voi in questi strani giorni di trovarvi con un sacco di tempo libero e non sapere che farvene. Non resta allora che cercare una nuova serie tv. Ho quindi iniziato e concluso in pochi giorni (due per l’esattezza) Hunters, la nuova serie di Amazon Prime con Al Pacino. È la storia di un gruppo di “cacciatori” ebrei sulle tracce di feroci nazisti nell’America degli anni ’70. Precisamente la storia è ambientata nel 1977, a trent’anni esatti dalla fine della Seconda guerra mondiale, in modo tale che i protagonisti risultino sufficientemente vecchi ma ancora in grado di combattere e muoversi in lungo e largo per gli Stati Uniti. Siamo infatti nel solco di un’altra serie tv The Man in the High Castle (L’uomo dell’alto castello), anch’essa prodotta da Amazon e giunta ormai alla quarta e ultima stagione.



Nelle serie precedenti si racconta di un Nord America sottomesso, diviso a metà tra un ovest dominato dai giapponesi e una costa est occupata dai nazisti, in conseguenza di un esito molto diverso del conflitto mondiale. Ed è abbastanza agghiacciante solo immaginare che la nostra storia avrebbe potuto avere un finale diverso da quello reale, rappresentato dalla vittoria delle forze del bene. Ma nessuno può negare che la storia – proprio in virtù dell’incertezza nella corsa per nuove armi di distruzioni di massa – avrebbe potuto prendere una piega diversa.



In Hunters si parte proprio da qui, e cioè da dove sono finiti gli scienziati tedeschi impegnati in gran numero dal regime hitleriano nelle ricerche in settori come quello missilistico, o chimico e batteriologico. I ricercatori nazisti sono stati resi inoffensivi nel ’45, ma in buona parte (e soprattutto quelli che oggi definiremmo “talenti”) invece che essere processati e condannati per i loro crimini vennero reclutati dal Governo americano e impegnati – appunto – nei programmi di ricerca spaziale e bellica. Valga per tutti il caso di Wernher von Braun, passato direttamente dal programma missilistico tedesco e dal progetto V2 alla guida della Nasa.



La serie prende spunto infatti proprio da un fatto di storia reale, dall’operazione “Paperclip”, chiamata così perché faceva riferimento al segno delle graffette lasciato nei dossier sugli scienziati tedeschi da naturalizzare americani dopo che erano state sottratte le parti più scomode, spesso prove del ruolo avuto da costoro durante lo sterminio degli ebrei nei campi di concentramento. Il programma – secretato per decenni – fu riportato alla luce sul finire degli anni Novanta, e venne giustificato dalla necessità, durante la Guerra fredda, di sottrarre scoperte scientifiche e ricercatori di alto livello ai sovietici.

Essendo l’unico scopo di queste note quello di suggerire la visione di Hunters, non cadrò nella tentazione di fornire spoiler a chi si appresta alla sua visione. Le 10 puntate scorrono velocemente grazie al ritmo di vero e proprio giallo, ma soprattutto per la superlativa interpretazione di Al Pacino, che veste i panni del ricco ebreo Meyer Offerman, destinata a raccogliere una gran quantità di premi nella categoria ”attore protagonista”. Ma anche il cast è di altissimo livello, con interpretazioni eccellenti, a cominciare da quella di Dylan Baker, il nazista che si intrufola nello staff di Carter, per continuare con quelle di Saul Rubinek, il vecchio ebreo ateo che diventa religioso per amore, e di Tiffany Boone, l’agente FBI di colore che, scoperta la trama nazista, aiuta i cacciatori ebrei nel loro lavoro.

La ricostruzione nella serie tv degli ambienti e dei costumi degli anni ’70 raggiunge la perfezione, non vi è un’auto fuori posto o un’inquadratura sbagliata, per non parlare poi della suggestiva colonna sonora. L’America di quegli anni rivela ancora oggi la sua forza attrattiva, e spesso dimentichiamo quanto ancora la New York di oggi deve il suo successo all’immagine e al fascino degli anni ’70, alla forza dirompente di quella stagione, quando era ancora l’unica vera metropoli mondiale.

Gli autori abbandonano spesso il canovaccio offerto dai fatti realmente accaduti e si lanciano nella ricostruzione fantasiosa di un complotto ai danni dei vincitori americani e teso alla costruzione del Quarto Reich. Neanche a farlo apposta, i cospiratori lavorano a un micidiale virus da diffondere attraverso prodotti alimentari low-cost, per infettare soprattutto i più poveri. Solo alla fine dell’ultima puntata verrà svelato chi sono i reali capi del complotto, e si annuncia così per le stagioni successive uno spostamento del teatro di azione verso il Sud America e la vecchia Europa.

Senza raccontare altro, è necessario aggiungere qualche considerazione. Intanto l’attualità del risorgere del pericolo totalitario e il fascino che ancora esercita il nazismo su frange di gioventù americana spinge gli autori di quel Paese a una rivisitazione della narrazione sul secondo conflitto mondiale: incomincia a farsi strada una tesi assai dubitativa sui comportamenti degli americani nei confronti dell’Europa dopo la guerra. Inoltre, per una società multietnica come quella americana, ha sempre un certo peso la violenza razziale, soprattutto verso gli ebrei, ma ormai la questione è mondiale e numerose ferite si stanno riaprendo in ogni angolo della Terra.

Vi è stata in queste ore una polemica dello Auschwitz Memorial nei confronti dei produttori della serie per una scena – completamente inventata – in cui i nazisti del campo di reclusione si divertono a giocare a scacchi usando come pedine prigionieri ebrei. La tesi è che raccontare storie inventate alimenta il negazionismo. In realtà, la serie tv – che chiaramente non è una ricostruzione storica – affronta aspetti assolutamente attuali legati alla lotta tra il bene e il male. “Il male vince sempre perché non rispetta le regole”, sostiene a un certo punto un giovane nazista, e sembra purtroppo avere ragione. Per questo il vecchio ebreo Mayer (Al Pacino) spiega al giovane Jonah che “l’unica vendetta possibile è la vendetta”. Ma come sempre la storia, come la vita, è più complessa di una bella frase, e anche per questo in Hunters le sorprese e i colpi di scena non mancano affatto. E per conoscere la verità va vista fino alla fine.