A quanto pare, leggendo i giornali, uccidere è la più seria preoccupazione dell’uomo. Se tutti coloro che abbiamo ucciso, anche solamente con il pensiero, scomparissero per davvero, la terra non avrebbe più abitanti. Il fatto è che la pallottola, a quanto pare, resta il mezzo di comunicazione più rapido tra uomini.
“Non uccidere“(cfr Es 20) raccomanda Dio a Mosè nel formulare il quinto comandamento: se ne spende uno intero per specificarlo, significa che il fatto di uccidere è una propensione insita nell’uomo stesso.
Nessuno, a priori, s’azzarda a contestare questo comandamento. Tutti convengono che ci siano molte cose per le quali valga la pena vivere, parecchie per le quali valga la pena morire, nessuna per la quale valga la pena di uccidere. In Italia è la Costituzione stessa a innalzarsi come argine: “In Italia non è ammessa la pena di morte”. Non uccidiamo, dunque, perché Dio non vuole, ma non uccidiamo perché l’assassinio introduce nella comunità un principio che la distruggerà.
Rimane una questione: si uccide solo togliendo la vita oppure si può uccidere anche conducendo qualcuno al punto di sfiorare la morte? Riducendolo in condizioni così letali da non riuscire più a sopravvivere alla violenza subita?
La prima storia della terza puntata de I 10+2 comandamenti – dal titolo Il corpo – è la storia di Associazione Meter e di don Fortunato Di Noto. Gente, un esercito, che da oltre trent’anni s’impregna della merda liquida della pedofilia per cercare di recuperare ciò che l’orco ha acciuffato nelle sue mani per appagare un prurito sessuale. È la storia di Salvo: “Di me posso dire che sono un sopravvissuto, proprio come chi è sopravvissuto ai lager”, dice citando un’espressione di Papa Francesco. Da bambino è stato abusato per anni da un prete: (don) Erode è successore di (don) Giuda. Nella Chiesa Salvo ha conosciuto il diavolo vestito da prete. Nella stessa Chiesa, ha conosciuto un arcangelo, vestito anche lui da prete: don Fortunato Di Noto. Col suo esercito di angeli: Associazione Meter. Stessa Chiesa, traiettoria opposte: ancora grano e zizzania. Un bambino abusato: ditemi “se questo è un uomo?”
Quando il corpo diventa scenario di guerra. Guerriglia: “Non commettere adulterio“. Materia di una candidezza imbarazzante: “Tu non ti introdurrai come terzo incomodo in un matrimonio”. Lasciate stare la caricatura ch’è stata fatta al terzo comandamento dentro la dogana dei confessionali: l’autoerotismo ch’è un peccato, le cose impudiche d’andare a confessare al prete. Niente di tutto ciò: il Dio di Mosè chiede serietà massima nel vivere l’amore. Una sfida ai limiti delle possibilità umane, se è vero ciò che si pronuncia all’altare: “Con la grazia di Dio prometto di esserti fedele sempre“. Con la grazia di Dio, perché da soli è una di quelle sfide impossibili. La stessa grazia che, in caso d’incidente, ben conosce l’arte della riparazione.
È la storia di Vito e Veronica, una coppia di sposi ch’è la protagonista della seconda storia. È anche la storia di Retrouvaille, una sorta di salvagente per matrimoni in crisi: “E se, anche in caso di tradimento, non fosse ancora tutto finito?”. Forse pretendere che il matrimonio debba offrire a ciascuno una realizzazione perfetta è una sorta di “concorso in adulterio”, contribuisce a creare un’ansia da prestazione: esistono anche incompiutezze ben riuscite. Un amore anche solo parzialmente ben riuscito non è poi una storia da gettare così facilmente alle ortiche. Il fatto è che, da fuori, non è mai facile (forse nemmeno corretto) giudicare un amore. Offrire un salvagente a chi sta naufragando, però, è più che un gesto di cortesia: può diventare l’occasione di re-innamorarsi della stessa persona che si è prima tradito. L’amore: con le sue impreviste deviazioni.
Volgarmente potrebbe essere una puntata intitolata: “Storie di pedofili e di corna”. Umanamente è un applauso alla vita: quando tutto sembra sul punto di morire, appaiono dei manovali che, senza paura di sporcarsi le mani e la faccia, praticano le manovre del primo soccorso. L’opposto dell’omissione di soccorso.
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