Lo insegna la vita di galera che la maggiore parte dei reati viene commessa per avidità e non certo per bisogno. Noi, certe volte, non sappiamo nemmeno ciò che vogliamo: siamo pronti, però, a mordere qualcuno pur di ottenerlo. Aveva la sua ragione il buon Dante quando scrisse de «la cieca cupidigia che v’ammalia» (Paradiso, XXX). Quando poi, magari, il desiderio sarà appeso come il bucato a un filo, diventerà ancora più forte, irresistibile la sua attrazione. Esiste una differenza tra cupidigia e avarizia: la cupidigia consiste nel bramare quello che ancora non si ha, l’avarizia nel tenersi stretto quello che si ha. È per mettere in guardia contro questo mondo, logorato mortalmente dalla bramosia, che le Dieci Parole si chiudono con il tema sommo del “desiderio”: educare al desiderio è avere in mano uno strumento gagliardo per arginare il veleno della cupidigia.



Ecco, dunque, la prima accortezza: «Non desiderare la donna d’altri» (cfr Es 20). Esiste un desiderio che rispetta l’altro, ma esiste anche un desiderio che umilia l’altro, lo sfrutta al punto da offenderlo mortalmente: “L’ho uccisa perché era mia” è una frase cult che ricorre negli ambienti di galera quando s’incrocia lo sguardo di chi, purtroppo, s’è macchiato indelebilmente del sangue. Il Cielo è come se avvisasse: “Noi non apparteniamo a nessuno: apparteniamo a dei momenti che certe persone hanno reso eterni. Indimenticabili”. Non sarà mai facile, tuttavia, estirpare i sentimenti dall’animo umano. Non è nemmeno questo che al Cielo preme: la sua sollecitudine è di insegnare a mantenere umani i sentimenti. Con la nona parola non si chiede la rinuncia a nessun sentimento verso un’altra donna o un altro uomo (non dimentichiamoci d’abbinare al maschile e al femminile!), ma si prova a educare alla rinuncia di voler fare di quell’uomo o di quella donna un territorio di conquista.



È la prima storia della V^ puntata de I 10+2 comandamenti, dal titolo: “Il desiderio” (in onda stasera, Rai1, 23.05). La storia di Giusy Laganà e della sua associazione Fare x bene. La loro è una sorta di “avventura preventiva” per mettere un argine al desiderio quand’è sul punto di diventare abuso, ossessione, possesso. Finendo addirittura per rivestirsi dei connotati di un reato come lo stalking, il revenge porn, il bodyshaming, il femminicidio. Materie che, nell’epoca in cui il telefonino è diventato prolunga della mano, rischiano di farci abitare costantemente a un passo dal pericolo. Anche dal baratro. Comunque vada, lottare per tenere in ordine i desideri sarà come lottare contro la forza di gravità. Lottare: per mettere in ordine il desiderio, non per annullarlo.



Contro lo spettacolo della bramosia, poi, mette in guardia l’ultima parola del Decalogo: «Non desiderare alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo». La pubblicità (che fa bene il suo lavoro) ci vuol convincere a tutti i costi che la nostra immagine derivi da ciò che acquistiamo, che possediamo: senz’avvisarci, però, che il desiderare troppo può correre il rischio di diventare una forma di dipendenza, una rinuncia alla libertà. Le truffe più grandi, se ci pensate, non provengono dal ricco epulone, ma da chi vuol essere sempre più ricco di quello che già è. Dio, per il fatto di fare qualche buona raccomandazione, non ci invita a mandare in malora questo mondo: più semplicemente ci invita a prestare la massima attenzione agli eccessi. Che poi, se ci pensate, è dalla cupidigia che nasce tutto: che si ruba, si mente, si ammazza, si commette adulterio.

È il cuore della seconda storia della puntata: la storia della Fondazione Salus Populi Romani, fondata a Roma da don Luigi Di Liegro. Una sorta di presidio anti-usura rivolto a coloro che, alzando magari un po’ troppo l’asticella del desiderio, “hanno fatto il passo più lungo della gamba”. Finendo per indebitarsi il portafoglio, il cuore, anche la speranza. Quando capita – di usare una misura errata di desiderio – sarà una grana non da poco venirne. D’altra parte, come si dice nelle galere, se ti costa la libertà allora non è più un gioco.

Il Decalogo, non a caso si chiude accendendo la luce sul desiderio. L’ultimo consiglio più che augurare buon appetito è un consiglio a governare bene l’appetito. Per non farsi divorare dall’appetito. I comandamenti, non l’avessimo capito, più che ad appesantire l’uomo mirano a rincuorarlo. Tendendogli una mano a oltranza.

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