Dio ha fatto il tempo, ma l’uomo ha fatto la fretta. Il risultato è dappertutto: tutto di fretta, tutto di corsa, tutto urgente. Tutti che corrono, tutti che comunque arrivano puntualmente in ritardo: nulla ci fa perdere più tempo della fretta. Dio è millimetrico, anche stavolta ha il bisturi in mano: «Ricordati del giorno di sabato per santificarlo» (lett: “Ricorda il giorno di shabbàt”). Lo shabbat, dunque, è un’interruzione, una cesura incessante susseguirsi delle giornate.



Dio, dopo avere liberato il suo popolo dalla schiavitù del faraone d’Egitto, desidera non vederlo più schiavo di nessuno, niente. Prova a preservare la sua libertà dalla dittatura degli impegni, dall’agenda zeppa di appuntamenti. Giorno “santo” significa un giorno “sottratto”: messo da parte, preservato dalla dittatura del mondo. Detto in parole povere, viene da pensare che Dio dica all’uomo: “Fermati e respira: così vai a sbattere e ti farai del male!”.



Il riposo, dunque, è un lavoraccio, anche se ci pare l’esatto opposto. L’opposto del lavoro è l’ozio non il riposo: tanto che se noi riposiamo oggi, domani si lavorerà meglio. Lo sa il cliente che commissiona un lavoro: si dimenticherà quanto velocemente hai fatto un lavoro, ricorderà quanto bene tu l’hai fatto. Riposati, dunque: «Un campo che è rimasto in riposo fornisce un abbondante raccolto».

È la storia di Piergiorgio, protagonista della seconda puntata de I 10+2 comandamenti (stasera, Rai1, ore 23.00 circa): dall’Ogliastra a Londra per sfondare nel mondo della finanza mondiale. Ci riesce, a pieni voti, con uno stipendio da favola. Di giorno e di notte: lavoro, pensieri, di corsa. Poi, una sera, il riposo di una domanda: “Ma questa è vita?”. Una domanda che in un battibaleno diventa il suo shabbat, la cesura: ritorna in Ogliastra, ritrova il ritmo umano, riscopre il profumo di una terra antica e sincera. È un modo diverso per stare al mondo. Fatichi sei giorni, il settimo ti chiedi il perché della fatica: questo perché è lo shabbàt che Dio raccomanda. Che ridere: si rincasa così sfiniti dalle ferie che occorrerà inventarsi un modo per riposarsi dal riposo che non è stato.



I fiumi lo sanno: non c’è fretta. Il tempo scorre, però, e diventa vecchiaia. È materia del quarto comandamento: «Onora tuo padre e tua madre». L’unico, tra i dieci, che allega anche il guadagno che si ricaverà: «Perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà». La vecchiaia è la più inattesa tra tutte le cose che possano capitare a un uomo. Se esiste un comandamento a tutela di questa età inesplorata significa per lo meno due cose: che non è poi così scontato il rispetto per padre e madre che invecchiano. E che la vecchiaia è una vita al rallentatore: forse per questo gli anziani vedono meglio del giovane certe cose. “Non s’invecchia – sembra bisbigliare Dio -. Si sta soltanto facendo un corso di perfezionamento della gioventù”.

Onorare i genitori (lett. “dare peso”) non è, comunque, diventare loro schiavi, oppure assecondare i loro capricci o fare di tutto per realizzare, mettendo in palio la nostra pelle, i sogni che non son riusciti a realizzare loro. Più semplicemente è tributare loro il peso che meritano nell’economia della vita: vivere come foglie che non sanno essere riconoscenti delle radici è vivere senza manco sapere da dove si arriva. E nemmeno sapere verso dove si sta andando. In Sardegna, in una delle più celebri blue zone del mondo, la gente campa anche fino a cent’anni. Questa longevità della vita – è il tema della seconda storia – non è solo questione di clima, dell’aria e del latte di capra. È che nell’Ogliastra un vecchio che muore è una biblioteca che brucia: per questo invecchiare nell’isola non è un dispiacere, ma un privilegio garantito.

Un tempo da sottrarre alla tirannide del tempo: lo shabbat. Un tempo che, scorrendo, diventa patrimonio da tutelare: l’onore per i genitori che invecchiano. Dio ribadisce la sua premura: che l’uomo non muoia soffocato e che all’anziano venga riconosciuta la sua dignità. Ancora una volta Dio è dalla parte dell’uomo.

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