Cani utilizzati per fiutare il Coronavirus: a occuparsene è stata la ABC che ha citato uno studio della School of Veterinary Medicine dell’Università della Pennsylvania, che ha lanciato un addestramento di 8 cani per fiutare le tracce del Covid-19. Non si tratta comunque di uno studio nuovo: già alla fine di aprile in Italia era giunta la notizia di come sia in Inghilterra che in Iran, una volta appurato che gli animali domestici potessero venire infettati ma non trasmettere la malattia agli esseri umani (anche se i pareri sull’argomento restano discordanti), più razze erano state sottoposte ad un addestramento specifico. Questa nuova ricerca dagli Stati Uniti supporta la teoria per cui i cani, che hanno milioni centinaia di milioni di recettori olfattivi più dell’uomo, possano realmente identificare l’odore del Coronavirus.



I CANI POSSONO FIUTARE IL CORONAVIRUS?

In che modo? Il video mostrato dalla ABC riguarda le immagini dell’addestramento di questi 8 cani, specificando che se la cosa dovesse funzionare si tratterebbe di qualcosa di rivoluzionario. Ne ha parlato la dottoressa Cindy Otto, che è direttore del centro veterinario che si sta occupando dello studio: “Io descrivo i cani come animali che vedono il mondo con il naso ma lo odorano in colori”. Ha poi aggiunto che questi animali siano in grado di percepire l’odore del cancro alle ovaie in un corpo umano, e che il suo studio sta lavorando appunto con i cani capaci di identificare le infezioni. Il tipo di concetto, spiegano dall’Università della Pennsylvania, è lo stesso del rilevamento di esplosivi sulle persone: la dottoressa Otto ha reso noto che la chiave dello studio è il distanziamento sociale.



Per il momento non è ancora chiaro in che modo i cani riescano poi a segnalare la presenza del Coronavirus, dal punto di vista del loro comportamento; il direttore del centro veterinario ha comunque detto ai giornalisti che si sta lavorando sulla base di quanto accade con lo studio sulle persone diabetiche, che possono venire individuati anche da una ragionevole distanza. “Il potenziale c’è, ma c’è ancora molto da imparare” ha detto la dottoressa: lo studio veterinario è in costante contatto con i ricercatori per capire in che modo implementare questa loro scoperta che, come detto inizialmente, potrebbe essere rivoluzionaria.

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