Nella lista della spesa degli italiani si fanno spazio alimenti garantiti da marchi Made in Italy di qualità, referenze a “Km 0” e prodotti certificati sotto il profilo della sostenibilità. Spinto dalla crisi pandemica in atto, il fenomeno è figlio di quello che tecnicamente viene definito con il termine “One health” e che nella pratica corrisponde a un concetto tanto immediato nella comprensione quanto complesso nelle sue implicazioni: la nostra salute è parte di un sistema quanto mai interconnesso che, oltre agli aspetti sanitari, passa anche dalla corretta alimentazione, dal benessere animale e dalla sostenibilità ambientale.
L’indicazione arriva dai più recenti dati raccolti nell’ambito del progetto Craft, promosso dall’Osservatorio continuativo realizzato dall’EngageMinds HUB, il Centro di ricerca dell’Area food che ha sede presso l’Università Cattolica di Cremona. L’analisi appare particolarmente interessante perché si focalizza non tanto sui consumi tout court, quanto sull’andamento di scelte alimentari particolarmente qualificanti per la persona, nelle quali, dunque, la componente psicologica è rilevante.
Lo studio evidenzia la performance dei prodotti contrassegnati dalle etichette Dop, Igp e Stg, che nell’ultimo periodo sono stati acquistati “sempre” o “quasi sempre” dal 70% degli italiani intervistati. Ma sottolinea anche il gradimento dei cibi a Km 0, ovvero prodotti localmente, scelti dal 52% degli intervistati: un valore inferiore a quello relativo alla voce precedente, che rappresenta comunque la maggioranza del campione. “La preferenza verso alimenti che possiamo definire Made in Italy non sorprende – spiega Guendalina Graffigna, Ordinario di Psicologia dei consumi e della salute presso l’Università Cattolica di Cremona e direttore dell’EngageMinds HUB – perché da un punto di vista psicologico collima con atteggiamenti più generali di diffidenza verso ‘l’esterno’ o l’esotico che una pandemia sorta in Asia ha portato in molte persone e che sfocia in comportamenti un poco più chiusi e ‘ripiegati’, anche in campo alimentare”.
Dalle elaborazioni del Centro di ricerca dell’Università Cattolica emerge poi che a manifestare questi comportamenti nelle scelte alimentari sono, per quanto riguarda i prodotti a qualità certificata, in pari misura donne e uomini; nel porre attenzione agli alimenti a Km 0 prevalgono invece le donne (55% contro la media di 52%) rispetto agli uomini (48%).
Se si analizza poi il fenomeno in una dimensione diacronica, tra le survey di febbraio, marzo, maggio e dicembre il dato relativo ai prodotti a Km 0 è stabile, così come quello dei prodotti di qualità che però – è bene sottolinearlo nuovamente – si mantiene su livelli alti.
Di particolare interesse è infine l’incrocio dei dati sui consumi con alcune variabili di natura psicologica. Qui emerge che la ricerca di alimenti Made in Italy viene percepita come più urgente in cittadini che, in questi mesi, sentono elevato il rischio sanitario (76% rispetto alla media nazionale pari al 70%) e il rischio economico (72%). Al contrario, questa esigenza è meno avvertita tra coloro che riportano sintomi depressivi (67%). I prodotti a Km 0 sono invece più richiesti da chi è in stato d’ansia (55%) e da coloro che si sentono a rischio sanitario ed economico (55% e 54%).
La survey dell’EngageMinds HUB ha infine acceso il faro anche su un altro fenomeno, rilevando che il 35% degli italiani manifesta interesse verso prodotti che presentano una delle tante forme di certificazione di sostenibilità (Ecocert, Ecolabel, Fairtrade, ecc.). Una quota cospicua, ma soprattutto in forte crescita: il trend registrato dal Centro di ricerca della Università Cattolica mostra infatti una progressione che parte dal 23% di febbraio, passa dal 30% di maggio e dal 34% di settembre per arrivare al 35% di dicembre.
L’andamento risulta invece in leggera diminuzione se si analizzano i prodotti provenienti da filiere che garantiscono il benessere animale: a maggio questi cibi erano scelti dal 58% degli italiani, ora sono preferiti dal 55% degli intervistati. “Pur emergendo un trend in leggero calo, va rilevato che la maggioranza dei cittadini italiani mette tra le proprie priorità anche il benessere animale”, sottolinea Graffigna, che conclude: “Si tratta di un altro effetto psicologico della pandemia, perché, essendo da tempo assodato come il virus Sars-Cov-2 abbia fatto in Cina il salto di specie all’uomo partendo dai pipistrelli e passando per animali allevati – i pangolini -, le persone si stanno preoccupando anche della corretta gestione degli allevamenti”.
La ricerca dell’Università Cattolica di Cremona è parte di un Monitor continuativo sui consumi alimentari e sull’engagement nella salute condotta dai ricercatori del centro di ricerca EngageMinds HUB (Lorenzo Palamenghi, Greta Castellini, Serena Barello, Mariarosaria Savarese, Guendalina Graffigna), che rientra nelle attività del progetto CRAFT (CRemona Agri-Food Technologies) e di Ircaf (Centro di riferimento Agro-Alimentare Romeo ed Enrica Invernizzi). È stata condotta su un campione di 4.000 italiani, rappresentativo della popolazione per sesso, età, appartenenza geografica e occupazione: i primi 1.000 casi dal 27 febbraio al 5 marzo (seconda settimana di pandemia in Italia); i secondi 1.000 casi dal 9 maggio al 15 maggio 2020 (seconda settimana di fase 2 in Italia), i terzi 1.000 casi tra il 19 e il 24 settembre 2020, i quarti 1.000 tra il 27 novembre e il 3 dicembre. I quattro campioni sono perfettamente sovrapponibili. La survey è stata realizzata con metodologia CAWI (Computer Assisted Web Interview).
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