La diga del Vajont si è rotta e nessuno sa come irregimentare le acque. La metafora del Vajont è stata usata da Giancarlo Giorgetti per dare un’idea di quel che è accaduto con gli effetti del Superbonus 110% e di ciò che potrà capitare nel tentativo di uscire dalla trappola in cui è stata gettata non solo la finanza pubblica, ma l’intera economia italiana. Il ministro vuol correre ai ripari spalmando non più su quattro, ma su dieci anni l’utilizzo del bonus ridotto al 70% per le spese sostenute dal 2024.
Venerdì sera è arrivato in Senato l’emendamento del Governo. Apriti cielo. La Confindustria è scesa in campo denunciando gli effetti negativi sulle imprese, sui privati, sulle banche, ma si è diviso anche il Governo. Il punto più controverso è la retroattività limitata a quest’anno, ma non solo.
“Comprendiamo bene le difficoltà per impedire che la coda dei crediti da Superbonus metta a rischio il deficit programmatico di questo 2024, indicato dal Def approvato dal Parlamento. Tuttavia, in nome della certezza del diritto non ne condividiamo l’eventuale irretroattività: il Governo può disporre lo spalma-crediti per decreto legge a vigenza immediata, ma allora lo si applichi solo per crediti maturati da spese sostenute successivamente a quella data”, ha dichiarato Maurizio Marchesini, attuale Vicepresidente di Confindustria per le filiere e le medie imprese e futuro Vicepresidente per il lavoro e le relazioni industriali. L’Ance, associazione dei costruttori stima già in 16 miliardi di euro l’impatto sui lavori interessati, mettendo in conto la lunga coda di contenziosi e il costo dell’inevitabile rallentamento dei lavori. Le banche temono l’impatto sui loro bilanci della svalutazione dei crediti calcolata in un 15%. La protesta è condivisa anche da Antonio Tajani, il quale ha lamentato di non essere stato informato.
La polemica è salita con una competizione tra Tajani e Giorgetti su chi tutela meglio gli interessi degli italiani. È comprensibile che siamo già in campagna elettorale e all’interno della maggioranza la gara è tra Lega e Forza Italia. Ma attenti a scherzare con il fuoco, cioè con gli interessi del Paese. Prima di ogni altra cosa, infatti, bisogna rispondere alla domanda: quali sono le alternative?
Quattro anni fa la Ragioneria dello Stato aveva stimato in 34 miliardi di euro il costo del Superbonus che invece è arrivato, per il momento a 114 miliardi. Per avere un’idea si tratta di dieci anni di taglio del cuneo fiscale, il provvedimento che il Governo ha rinnovato solo per un anno e ha promesso di confermare anche nella Legge di bilancio per il 2025, ma non sa dove e come trovare le risorse. Siamo già in procedura d’infrazione e subito dopo le elezioni europee comincerà una difficilissima trattativa con la Commissione Ue. Partiamo da un deficit sopra al 7% del Pil e un debito del 140% arrivato a duemila 900 miliardi di euro. È vero che la Francia è già a tremiladuecento, ma ha in Pil maggiore e soprattutto un rating migliore: doppia A invece che tripla B.
L’Italia deve rinnovare titoli di stato per oltre 380 miliardi di euro con un costo che s’avvicina a 90 miliardi per pagare gli interessi. Con le emissioni del Btp Valore s’è fatto appello al risparmio privato, sono entrati circa 30 miliardi di euro nelle due emissioni di quest’anno, ma non sono sufficienti. E i Btp Valore non verranno replicati. Quindi, i prossimi mesi saranno complicati. Le stesse banche, con i tassi d’interesse in diminuzione nella seconda parte dell’anno, vedranno scendere anche i margini di guadagno derivanti dalla differenza tra tassi attivi e passivi che hanno in gran parte gonfiato i loro utili, dunque non avranno molto spazio per aumentare ancor di più i titoli di stato nei loro bilanci. La Bce non solo ha smesso di comprarli, ma ha cominciato a ricollocarli e vuole alleggerire il suo bilancio.
Il Tesoro, insomma, cammina davvero su un filo sottile. Lo stesso successo del collocamento di Btp tra il pubblico ha un risvolto negativo: molto, troppo risparmio viene usato per coprire il debito pubblico invece che per investimenti in un’economia che perde colpi come mostrano gli ultimi dati sull’industria manifatturiera, il settore che più ha contributo alla ripresa dopo la pandemia.
È meglio per tutti se prevarrà il senso del bene comune sulle polemiche di parte. Superate le elezioni non sarebbe male se il Governo chiamasse anche l’opposizione a condividere scelte difficili, ma inevitabili. L’Ocse, il Fmi e la Ue chiedono all’Italia di rientrare nei ranghi, progressivamente, ma in modo certo, lungo un percorso pluriennale che non può essere rimesso in discussione a ogni stormir di sondaggio. Sono scelte che non vanno fatte per accontentare le istituzioni internazionali, le élite globali, la turbofinanza o quant’altro, ma per consentire agli italiani di aumentare un reddito medio pro capite che ristagna da troppo tempo.
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