La road map di Paolo Gentiloni ha acceso la luce rossa a palazzo Chigi. Nulla di nuovo in realtà; a palazzo Sella Giancarlo Giorgetti la conosceva già e i suoi tecnici si stanno attrezzando, ma sentirla squadernata momento dopo momento colpisce comunque. I sei mesi dopo le elezioni europee saranno una corsa a ostacoli e una corsa contro il tempo. Il commissario europeo agli Affari economici ha apprezzato la prudenza del Governo, ma ha avvertito che si preannuncia una “estate calda per i conti pubblici” e non solo quelli italiani. Il 19 giugno si vedrà a quali Paesi applicare la procedura d’infrazione per aver sforato il deficit del 3% (Italia e Francia per primi). Due giorni dopo verranno date ai Paesi membri le linee guida e le traiettorie da seguire per i piani a medio termine che andranno consegnati a settembre. Poi cominceranno le trattative che sfoceranno a novembre nelle raccomandazioni per le manovre correttive. Gentiloni istruirà la pratica, poi vedremo con chi Giorgetti dovrà trattare le condizioni per il rientro. Una cosa certa è che nei prossimi anni non ci saranno spazi di manovra, ma la benzina manca già.
La Commissione europea stima per l’Italia una crescita dello 0,9% in questo 2024 e dell’1,1% l’anno prossimo, percentuali molto vicine a quelle del Governo, che scontano la riduzione degli incentivi dovuti al Superbonus. La caduta dei prezzi dell’energia porterà l’inflazione all’1,6%, una discesa più rapida che in altri Paesi grazie alla migliore capacità di staccare la spina del gas russo. Resta debole la domanda interna per consumi, la disoccupazione scenderà verso il 7,3% nel 2025 e si prevede un aumento dei salari superiori all’inflazione soprattutto nei servizi e nella Pubblica amministrazione. Migliora il deficit che scende dal 7,4% dello scorso anno al 4,4% grazie a un aumento delle entrate e al minore impatto degli incentivi edilizi. Ma l’anno successivo salirà al 4,7%. La spesa primaria è dominata dall’indicizzazione delle pensioni e dal rinnovo dei contratti pubblici e non è compensata da una spending review di appena lo 0,1%. Gli interessi sul debito con le nuove emissioni di titoli pubblici saliranno al 4%. E qui incontriamo il grande macigno. Il debito sul Pil peggiora: dal 137,3% al 138,6% quest’anno e arriva al 141,7% nel 2025.
La Confindustria ha diffuso ieri la sua congiuntura flash che registra una industria in frenata: la produzione nel primo trimestre è scesa dell’1,3%. Cala la domanda interna, i consumi e investimenti sono in discesa, lo si vede anche dal lato delle importazioni, mentre pure l’export che aveva fatto da locomotiva mostra un segno meno. In sintesi, nel primo trimestre 2024 il Pil italiano è cresciuto (+0,3%), anche se la produzione dell’industria e i consumi di beni si sono contratti. In positivo il turismo (su livelli record), i servizi (in moderata crescita) e l’export netto. Agiscono negativamente i problemi nei trasporti mondiali di merci, l’energia ancora cara, i tassi ai massimi. La fiducia di famiglie e imprese è in calo. Si spera a questo punto nell’estate, soprattutto nel turismo perché non ci sono segnali di vera ripartenza nella manifattura. Mentre la stretta al Superbonus getta ombre sull’edilizia e sulle banche. Si stima una sofferenza media del 16% con un aumento dei crediti a rischio, tanto che gira l’ipotesi di un fondo pubblico per alleggerire le banche. Ma chi paga? Le risorse a disposizione del Tesoro sono esigue, per confermare gli impegni sul cuneo fiscale, sull’Irpef e i sostegni alle famiglie occorrono circa 20 miliardi che non ci sono, la vendita di quote dell’Eni, delle Poste e di altre partecipazioni statali potrà dare una boccata d’ossigeno, ma non sarà sufficiente.
Dal Governo arrivano dichiarazioni tranquillizzanti dal chiaro sapore pre-elettorale. “Nessuno ci chiede una manovra aggiuntiva”, è il messaggio chiave. Vero, ma tutti aspettano il round di negoziati dopo le elezioni e la botta arriverà con il bilancio 2025. Un’analisi pubblicata da Unimprese mostra che “il fabbisogno delle amministrazioni pubbliche è pari a 27,7 miliardi di euro. L’aumento è dovuto quasi tutto al debito dello Stato centrale (22,8 miliardi)”, conseguenza dei sostegni assistenziali e delle spese straordinarie. L’effetto Superbonus è stato micidiale e non si riesce ancora ad avere stime esatte: oscillano tra i 125 miliardi dell’Enea ai 170 miliardi dell’Ufficio parlamentare di bilancio. Una montagna di debito in ogni caso.
Secondo la riforma del Patto di stabilità, il debito dovrà diminuire in media ogni anno di un punto percentuale di Pil se il rapporto rimane al di sopra del 90%; il consolidamento dovrà eventualmente proseguire fino a quando il disavanzo strutturale non sia inferiore all’1,5% del Pil. Siccome l’Italia si troverà in infrazione, il consolidamento deve essere tale da migliorare il saldo complessivo strutturale di almeno mezzo punto percentuale l’anno. Comunque la si rigiri la torta è troppo piccola, può crescere solo con una crescita ben superiore all’1% e un consistente taglio dei tassi: per portali in linea con l’inflazione dovrebbero scendere di qui a fine anno almeno di un paio di punti. Nessuna delle due condizioni sembra realistica nei prossimi mesi.
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