Dal Brasile il ministro dell’Economia ha lanciato un messaggio tranquillizzante: “La prossima manovra non sarà lacrime e sangue ma seria e responsabile, come le due precedenti. Certamente ci sono complicazioni che derivano dall’applicazione del nuovo Patto di stabilità, ma non cambia la prospettiva. Avevamo già messo in conto le conseguenze del ritorno in vigore della regola del 3%”, ha detto Giancarlo Giorgetti all’Ansa in una pausa del G20. Le preoccupazioni restano, tuttavia alcuni dati di fatto rendono credibili le parole del ministro.



L’economia rallenta, ma non si ferma. Sarà difficile raggiungere una crescita dell’un per cento come preannunciato dal Governo, forse è più realistica una forchetta tra 0,6% e 0,8% come prevedono la Banca d’Italia e il Fondo monetario internazionale, però allo stato dell’arte non ci sarà recessione e questo ha un immediato effetto positivo sui conti pubblici, perché salgono anche le entrate soprattutto quelle dovute alle imposte sui redditi. Proprio da qui viene il cauto ottimismo di Giorgetti.



L’assestamento del bilancio arrivato all’esame della Camera mostra che ci sono 24 miliardi e 653 milioni in più rispetto al previsto. Di per sé l’aumento non è una sorpresa, perché l’ultimo Documento di economia e finanza lo annunciava già, ma quel che colpisce davvero è l’entità del “tesoretto” fiscale dovuto tutto alle entrate tributarie. L’Irpef ha dato 8,9 miliardi in più; l’Ires 6,5 miliardi. Persone fisiche e imprese hanno dato al fisco il grosso dell’incremento. Mentre al contrario l’Iva registra il segno meno, il gettito è inferiore per 3,2 miliardi di euro.



È il lato oscuro della buona notizia. Da un lato il bilancio dello stato viene rimpinguato, ma a spese di lavoratori dipendenti e imprese, mentre l’imposta sul valore aggiunto continua a essere il ventre molle del sistema. Pur tenendo conto della riduzione dovuta dalla disinflazione, lì si annida il grosso dell’evasione e continui annunci di condoni più o meno blandi o travestiti non contribuisce a riportare la tassazione sui consumi entro un sentiero adeguato all’andamento dell’economia. La normalità dice che se il Pil cresce deve crescere anche l’Iva, quindi c’è una anomalia da correggere.

La faccia positiva è che con quasi 25 miliardi in più quest’anno la manovra per il 2025 si presenta meno difficile. Si era stimato, grosso modo a spanne, che il Governo avrebbe avuto bisogno di almeno 15 miliardi per tenere fede alle sue promesse, a cominciare dalla riduzione del cuneo fiscale, una misura resa ancor più necessaria anche guardando all’onere fiscale su lavoratori e imprese. Ebbene oggi la torta si è allargata al di là delle previsioni e ci sono un po’ di grattacapi in meno.

Il rischio è che la sorpresa di luglio si trasformi a settembre in una corsa a saltare sul carro di Tespi per recitare l’abusata commedia all’italiana. Fuor di metafora, che gruppi di pressione, interessi costituiti, lobby e corporazioni comincino a tirare il Governo e i ministri ai quali fanno riferimento dalla loro parte, a quel punto il fieno messo in cascina non sarà sufficiente.

Giorgetti promette di tenere la barra dritta, ma l’andamento della spesa corrente non è certo tranquillizzante, infatti continua a crescere tanto che il saldo di finanza pubblica non è migliorato nonostante l’extra gettito fiscale. Pesano ancora i bonus edilizi che richiedono ben 13,7 miliardi di euro e quelli per l’acquisto di beni strumentali. I crediti d’imposta restano meccanismi difficili da controllare ex ante. Quindi sarebbe opportuno sostituirli al più presto. Visto che siamo sotto la doccia fredda che compensa i bollori fiscali, bisogna aggiungere che le entrate aggiuntive derivano anche da misure una tantum come i 10 miliardi di versamenti della Cassa depositi e prestiti per il rimborso dei buoni postali eccedenti il fabbisogno effettivo e le sovvenzioni extra che vengono dalle rate per il Pnrr.

Dunque, al sospiro di sollievo segue un respiro affannoso che richiede nervi saldi e controllo. Non ci sarà una stretta e questo è già molto, ma dalla politica di bilancio non potrà venire nemmeno una spinta espansiva. Ciò richiede che il Governo si concentri sulla politica strutturale. In primo luogo, il Pnrr. Da una parte accelerando l’apertura dei cantieri (per ora il grado di attuazione è ancora sotto il 50%) e dall’altra portando avanti le riforme che possono dare un impulso dal lato dell’offerta. C’è la partita della concorrenza bloccata dall’impuntatura dei balneari che paralizza anche il Governo. E ci sono gli altri provvedimenti che debbono rendere più snella ed efficiente la spesa pubblica e migliorare quel che si chiama l’ambiente economico.

Il ministro dell’Economia non può limitarsi a presentare la partita doppia e del dare e dell’avere, deve inserire il bilancio pubblico in una strategia più ampia. Ciò richiede una operazione complessa che coinvolge il Governo nella sua interezza. Non c’è ministro che possa rifugiarsi nella propria nicchia tranquilla. Spetta a Giorgetti dare il là e far sì che l’Esecutivo garantisca la collegialità; lui è il vertice dell’intera politica economica, non solo del bilancio pubblico. Tocca al presidente del Consiglio garantire fiducia e appoggio pieno. Capiremo presto se sarà così.

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