Chi si risente? La spending review! Ve la ricordate? Serenamente com’era vissuta la vedemmo morire come rito renziano, officiante Yoram Gutgeld, ex testa d’uovo McKinsey, circonfuso da un’aureola d’infallibilità per aver egli prestato il suo servizio a Tel Aviv per l’esercito israeliano, e scusate se è poco. Gutgeld aveva sostanzialmente e senza strepiti archiviato questa chimera, questa fola, che vari Governi prima di quello renziano avevano finto di perseguire. Ma prima di Gutgeld c’aveva pensato lui, Cottarelli, l’Amerikano del Fondo monetario, cervello di rientro individuato da Enrico Letta proprio come commissario alla spending review e poi – addirittura – incaricato da Mattarella di formare un Governo tecnico, nel maggio del 2018, naturalmente senza riuscirci… Cottarelli di finanza pubblica capisce, di Italia forse meno visto che ancora si meraviglia che nessuno tagli la spesa pubblica: “Servono tagli veri alla spesa pubblica – ha infatti ripetuto rivolgendosi alla luna – perché quelli previsti dal Governo non bastano”, ed è presto per dire che le entrate fiscali vanno bene? Bisogna vedere alla fine. E intanto il Governo deve trovare almeno 17-18 miliardi di euro”.
Qui casca l’asino governativo, ed è un bene se il Governo – in prima persona Giancarlo Giorgetti, ministro ahilui all’economia – se ne faccia una ragione.
Quel che in America, con espressione elegante chiamerebbero “deep State” e che noialtri chiamiamo “magnamagna”, la spending review semplicemente non la farà mai. Quell’intrico inestricabile di sottopotere vero, la rete di capi di gabinetto, segretario generali, direttori generali, capi dei legislativi, insomma: i ministeriali, i pilastri della Pubblica amministrazione, moltiplicati nelle venti regioni, nelle 100 abolite eppure ancor vive province, negli 8.000 comuni, ebbene: quest’esercito di sottoponenti, non mollerà mai.
E per tagliare i miliardi – chi dice ne basterebbero 9, chi 18 – Giorgetti e i suoi tagliatori dovranno cercare nelle solite voci di bilancio senza voli né speranze. Si metta l’animo in pace anche Calderoli, padre di un abortino chiamato “autonomia differenziata”: non sarà con la spending review delle spese comunali che si riuscirà a finanziare i “Lep”, i Livelli essenziali di prestazione. Semmai, andrà sanato quanto prima quel mostro logico prima che giuridico secondo cui i fornitori privati di beni e servizi alle Aziende sanitarie locali possono essere richiesti di rimborsare la metà degli importi a loro spettanti, e già fatturati, quando l’ente scopra di aver speso troppo: una spending review con il buco di bilancio degli altri che a oggi è legge, ma che fa talmente vomitare che in qualche modo verrà spazzata via.
E dunque il nodo è semplicemente arrivato al pettine. La spesa pubblica improduttiva è incurabile perché nessun Governo ha la presa che sarebbe necessario avere sotto di sé per comprimerla. Per imporne i tagli. E dunque continuiamo a vivere al di sopra dei nostri mezzi. Quella vergogna di Patto di stabilità 2.0 che è rinata a fatica all’inizio di quest’anno nei discorsi tra gli europartner qualche occhiataccia ce la manderà, ma in quest’Europa sgangherata, dove il più pulito ha la rogna, è difficile immaginare che la Bce o la Commissione facciano veramente la faccia feroce contro di noi. Potrebbero farla i mercati, colpendo di nuovo i nostri Btp come accadde 13 anni fa; ma sono cambiate tante cose da allora, innanzitutto è cambiata la Germania, da locomotiva divenuta ultima ruota del carro. Ecco, forse, una buona notizia per il domani dell’Europa unita.
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