È trascorsa una settimana dalla votazione dell’Europarlamento che ha confermato Ursula von der Leyen alla guida della Commissione europea. Eursotat, intanto, ha fatto sapere che nel primo trimestre dell’anno il deficit su Pil nell’area dell’euro è sceso al 3,2% dal 4% degli ultimi tre mesi dell’anno, mentre il rapporto debito/Pil è salito dall’88,2% all’88,7%. Abbiamo chiesto un commento a Gustavo Piga, Professore di Economia politica all’Università di Roma Tor Vergata, che in primo luogo invita a puntare l’attenzione sul «lungo discorso di mercoledì scorso della von der Leyen, che già a livello di sintassi e semantica rivela cose molto interessanti rispetto a quelle che sono state dette finora».



Che cosa emerge dalle parole della Presidente della Commissione europea?

Ha spiegato in maniera abbastanza chiara che cosa vuole che sia l’Unione europea: l’ha definita, infatti, in prima battuta, un’economia sociale di mercato. Non, invece, una società che sta cercando di unire le forze per un progetto culturale, umanistico, di convivenza pacifica e di progresso. Mi ha colpito tantissimo in tal senso vedere che le parole “culture”, “arts” e “humanities” (cultura, arte e discipline umanistiche) non sono mai state utilizzate nel suo discorso. Non credo sia normale che manchino questi riferimenti quando si parla di Europa. Ma passiamo oltre. Von der Leyen ha riconosciuto che l’Ue si trova immersa in un’era di rivalità geostrategica. Dal suo punto di vista, tale rivalità è basata sulla mancanza di lealtà, con un esplicito riferimento alla concorrenza sleale cinese. Siamo, quindi, un’economia sociale di mercato “in difesa”, che gioca una battaglia per cercare di puntellare l’esistente più che per crescere.



Come intende difendersi l’Ue?

La parola più citata nel discorso è “garantire”, verbo che appare addirittura 33 volte, soprattutto riferito alla sicurezza, sia essa relativa all’immigrazione, agli approvvigionamenti, alla difesa, alle tecnologie strategiche. Per poter esercitare queste “garanzie” occorrono strumenti e a questo punto comincia a emergere l’intrinseca debolezza di questa Europa, dato che si ripetono molto spesso nomi piuttosto noti: libri bianchi, nomine di commissari, strategie, approcci comuni, piani di azione, nuovi programmi, nuovi patti, tabelle di marcia, relazioni e dialoghi strategici. Sono termini che hanno certamente una loro utilità, ma anche un loro limite, perché sono soltanto parole e azioni di cui si potrà misurare l’efficacia soltanto a posteriori. Non sono, quindi, delle azioni forti che potranno portare i nostri imprenditori, i nostri cittadini, a convincersi che qualcosa cambierà. Non sono soprattutto, in prima analisi, stanziamenti di risorse. Negli Usa discorsi di questo tipo sono pieni di numeri relativi ai fondi che si intendono utilizzare.



La von der Leyen non ha parlato mai di spesa?

Ha citato solamente la volontà di spesa per triplicare il numero di guardie alle frontiere e alle coste europee. C’è poi un passaggio importante: von der Leyen, infatti, ha detto che dobbiamo spendere di più, spendere meglio e spendere insieme.

Beh, non si può che condividere…

In realtà, questa frase non è riferita ai tanti capitoli di spesa di cui ha bisogno una società per crescere e progredire, ma soltanto alla difesa. E questo rafforza quello che le dicevo prima: l’Europa è un continente “in difesa”, l’unica priorità che in questo momento merita una certezza di spesa, migliore e centralizzata, è la difesa. Mi lasci anche aggiungere che è stato sacrosanto il richiamo a spendere meglio, ma la von der Leyen si è ben guardata dal ricordare che per ottenere importanti risparmi negli appalti occorrerebbero investimenti nella professionalizzazione delle stazioni appaltanti. Investimenti per cui occorrono sì risorse, che l’Ue non lascia stanziare, ma ben inferiori ai guadagni che si possono ottenere.

La Presidente della Commissione ha indicato quante risorse vuol destinare alla difesa?

Ha detto che farà in modo di sfruttare il potere di bilancio dell’Ue. Il problema è che tale potere è estremamente limitato perché siamo ancora una somma di tanti Paesi piuttosto che uno solo come gli Stati Uniti. Quindi, ogni Stato tiene gelosamente per sé questo potere di spesa. Ha inoltre spiegato che intende garantire l’uso delle risorse disponibili nell’ambito del Next Generation Eu. Non si tratterrebbe ovviamente di replicare tale iniziativa, ma solamente di assicurare che verranno utilizzati tutti gli attuali stanziamenti. Siamo quindi di fronte a un’ambizione “minimalistica”, che si vede anche in altre cose.

Per esempio?

La von der Leyen ha parlato della necessità di aumentare la spesa per la ricerca e l’università, ma ci sarebbe da chiedersi come mai nel nostro Paese ci sono i rettori e le opposizioni che protestano contro i tagli lineari dei fondi per l’università, che già in rapporto al Pil sono tra i più bassi del resto d’Europa, previsti per l’anno prossimo.

Una decisione presa dal Governo, non dall’Ue…

Non è proprio così. È vero che decidono i Governi, ma tali decisioni dipendono da quello che l’Ue consente loro di poter fare. Ed è qui che clamorosamente arriviamo al punto chiave: nel discorso della von der Leyen non c’è stato un solo un riferimento al Patto di stabilità e crescita, cioè al fatto che la Commissione europea non soltanto è castrata, perché non ha capacità di spesa, ma in questo suo sadismo nel vedere tutto andar male non permette ai singoli Paesi di spendere. Tutto questo inviluppa il continente in un circolo vizioso di mancanza di crescita rispetto a quella che hanno sperimentato gli Stati Uniti anche tramite investimenti pubblici in deficit. A questo punto è possibile commentare con maggior cognizione di causa i dati diffusi da Eurostat.

E cosa pensa di questi dati?

Quel deficit al 3,2% del Pil è una minaccia più che una promessa di sviluppo, perché le nuove regole di cui ci siamo dotati dicono che occorre scendere all’1,5%. Dunque, tutti i Paesi membri dell’Ue dovranno stringere la cinghia ed è per questo che in Italia si è costretti a tagliare i fondi all’università. E quell’88,7% di debito/Pil non potrà che salire, visto che sappiamo bene che quando si decide di applicare l’austerità quel rapporto non diminuisce, ma aumenta a causa della minore crescita. È così che una Unione “in difesa” rischia di diventare “indifesa”, perché parla di economia senza capire che essa si muove in base all’ottimismo, alla gioia di vivere delle persone, alle opportunità che si creano per il tramite di nuovi investimenti e nuove scommesse sul futuro. L’Europa si sta condannando a proseguire un declino costante in termini di valori e di risultati.

La von der Leyen potrebbe non aver citato il Patto di stabilità dato che erano stati i Paesi membri ad accordarsi pochi mesi fa sulle nuove regole?

Dal mio punto di vista, chi si vergogna dei propri gesti vale ancora meno di colui che almeno ha il coraggio di rivendicarli. La Commissione, dunque, nasconde la mano dopo aver lanciato il sasso.

Quindi, la Commissione condivideva l’impianto delle nuove regole, ma non vuole ammetterlo?

No. Sappiamo bene che la Commissione ha in tutti i modi cercato di ottenere un Patto di stabilità ancora più restrittivo e solo grazie alla Germania si è riusciti a fare in modo che Bruxelles non avesse quel ruolo così importante che pretendeva di avere nel poter imporre austerità.

Di fatto, quindi, la von der Leyen non ha citato il Patto di stabilità perché sa che è contro gli obiettivi che l’Europa a parole si pone?

No, il Patto di stabilità è contro quello che la gente vuole. Anche nel nostro Paese continuiamo a votare chi promette di abbattere il Fiscal compact, ma alla fine chi governa, tranne il caso del 2019, si adegua e si appiattisce sulla strategia di Bruxelles. Verrà il momento, però, in cui la situazione sfuggirà di mano all’Ue e probabilmente quel momento potrebbe coincidere con le prossime elezioni presidenziali francesi.

(Lorenzo Torrisi)

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